Ulivo, Unione, Pd a «vocazione
maggioritaria», ed ora alleanze «a doppio cerchio». Con queste formule i leader
della sinistra italiana hanno via via perso il contatto con il loro
elettorato e con i veri problemi del paese.
Il botta e risposta di questi ultimi giorni tra Walter Veltroni e Pierluigi
Bersani è solo l'ultimo episodio dell'eterna diatriba tra i fautori del
centrosinistra e quelli del centro-sinistra. Con o senza trattino. Passano
gli anni, passano i leader ma l'unico problema dell'attuale
opposizione ruota sempre intorno alle soluzioni che, di volta in volta,
Massimo D'Alema e Walter Veltroni propongono per attrarre il centro,
allungare o restringere il campo delle alleanze. È dal 1994 che, nel Pds
prima e nel Pd poi, si scontrano la visione socialdemocratica di stampo
europeo del primo (ora rappresentata da Bersani) e la visione
liberaldemocratica di stampo kennediano-americano del secondo.
Nell'impostazione
dalemian-bersaniana il Partito Democratico dev'essere il perno di un'ampia
coalizione antiberlusconiana che riesca a trovare il modo più veloce di far
cadere il governo del Cavaliere, senza curarsi troppo delle affinità
programmatiche con gli alleati. E
per far fuori il premier si è quindi disposti a tutto, a fare patti
anche con quello che una volta si considerava il diavolo, il «fascista»
Gianfranco Fini, e che oggi invece sembra essere uno degli interlocutori
privilegiati per «salvare la democrazia». Il progetto bersaniano, già
osteggiato da molti nel suo partito, prevederebbe alleanze «a doppio
cerchio»: da una parte la rinascita di un ancora non ben definito «Nuovo
Ulivo», dall'altra un'«alleanza per la democrazia», di cui potrebbero far
parte anche Casini e Fini, per riformare la legge elettorale e salvare
l'Italia da Berlusconi e Bossi. Ma un accordo sul tema appare un obiettivo
alquanto complesso da raggiungere, viste le divisioni interne già presenti
del Partito Democratico tra i sostenitori dell'uninominale (per lo più
veltroniani) e quelli del proporzionale (per lo più dalemiani).
Senza considerare il fatto che,
anche se si cambiasse la legge elettorale, il governo cadesse e si andasse ad
elezioni anticipate, si riproporrebbe il problema della leadership. Nichi
Vendola e Sergio Chiamparino sono già scesi in campo per minare la leadership
di Bersani, eletto segretario poco meno di un anno fa. Vendola, governatore
della Puglia, è tra i favoriti per la vittoria di eventuali primarie. Ma
metterebbe a rischio l'alleanza con i cattolici, e potrebbe anche causare la
fuoriuscita degli ex popolari legati all'ex ministro Giuseppe Fioroni, che
seguirebbero nell'Udc gli ex colleghi di partito Enzo Carra, Renzo Lusetti e
Paola Binetti.
E, comunque sia, dopo due anni di
sconfitte i problemi del centrosinistra italiano non cesseranno sia che la leadership
spetti a Bersani o a Vendola. Nel caso
in cui si concretizzasse il progetto bersaniano dell'alleanza «a doppio
cerchio» (Nuovo Ulivo + Alleanza per la democrazia) vi saranno grandi
difficoltà a spiegare al proprio elettorato una coalizione che va da Vendola
a Fini. Se, invece, Vendola dovesse diventare leader del
centrosinistra, il vertice del Partito Democratico dovrebbe spiegare alla
propria base perchè il primo partito d'opposizione debba abdicare alla guida
della coalizione quando lo statuto, approvato neanche un anno fa, stabilisce
che il segretario del partito sia anche il candidato premier per le
politiche.
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venerdì 20 aprile 2012
Pd. Le mille formule di un partito privo di rotta
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