venerdì 20 aprile 2012

Pd. Le mille formule di un partito privo di rotta


 
di Francesco Curridori
  



martedì 31 agosto 2010


Ulivo, Unione, Pd a «vocazione maggioritaria», ed ora alleanze «a doppio cerchio». Con queste formule i leader della sinistra italiana hanno via via perso il contatto con il loro elettorato e con i veri problemi del paese. Il botta e risposta di questi ultimi giorni tra Walter Veltroni e Pierluigi Bersani è solo l'ultimo episodio dell'eterna diatriba tra i fautori del centrosinistra e quelli del centro-sinistra. Con o senza trattino. Passano gli anni, passano i leader ma l'unico problema dell'attuale opposizione ruota sempre intorno alle soluzioni che, di volta in volta, Massimo D'Alema e Walter Veltroni propongono per attrarre il centro, allungare o restringere il campo delle alleanze. È dal 1994 che, nel Pds prima e nel Pd poi, si scontrano la visione socialdemocratica di stampo europeo del primo (ora rappresentata da Bersani) e la visione liberaldemocratica di stampo kennediano-americano del secondo.
Nell'impostazione dalemian-bersaniana il Partito Democratico dev'essere il perno di un'ampia coalizione antiberlusconiana che riesca a trovare il modo più veloce di far cadere il governo del Cavaliere, senza curarsi troppo delle affinità programmatiche con gli alleati. E per far fuori il premier si è quindi disposti a tutto, a fare patti anche con quello che una volta si considerava il diavolo, il «fascista» Gianfranco Fini, e che oggi invece sembra essere uno degli interlocutori privilegiati per «salvare la democrazia». Il progetto bersaniano, già osteggiato da molti nel suo partito, prevederebbe alleanze «a doppio cerchio»: da una parte la rinascita di un ancora non ben definito «Nuovo Ulivo», dall'altra un'«alleanza per la democrazia», di cui potrebbero far parte anche Casini e Fini, per riformare la legge elettorale e salvare l'Italia da Berlusconi e Bossi. Ma un accordo sul tema appare un obiettivo alquanto complesso da raggiungere, viste le divisioni interne già presenti del Partito Democratico tra i sostenitori dell'uninominale (per lo più veltroniani) e quelli del proporzionale (per lo più dalemiani).
Senza considerare il fatto che, anche se si cambiasse la legge elettorale, il governo cadesse e si andasse ad elezioni anticipate, si riproporrebbe il problema della leadership. Nichi Vendola e Sergio Chiamparino sono già scesi in campo per minare la leadership di Bersani, eletto segretario poco meno di un anno fa. Vendola, governatore della Puglia, è tra i favoriti per la vittoria di eventuali primarie. Ma metterebbe a rischio l'alleanza con i cattolici, e potrebbe anche causare la fuoriuscita degli ex popolari legati all'ex ministro Giuseppe Fioroni, che seguirebbero nell'Udc gli ex colleghi di partito Enzo Carra, Renzo Lusetti e Paola Binetti.
E, comunque sia, dopo due anni di sconfitte i problemi del centrosinistra italiano non cesseranno sia che la leadership spetti a Bersani o a Vendola. Nel caso in cui si concretizzasse il progetto bersaniano dell'alleanza «a doppio cerchio» (Nuovo Ulivo + Alleanza per la democrazia) vi saranno grandi difficoltà a spiegare al proprio elettorato una coalizione che va da Vendola a Fini. Se, invece, Vendola dovesse diventare leader del centrosinistra, il vertice del Partito Democratico dovrebbe spiegare alla propria base perchè il primo partito d'opposizione debba abdicare alla guida della coalizione quando lo statuto, approvato neanche un anno fa, stabilisce che il segretario del partito sia anche il candidato premier per le politiche.

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