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venerdì
09 settembre 2011
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Caso Penati e referendum sulla legge elettorale. Su questi temi Pier Luigi Bersani si gioca il ruolo
di segretario del Partito democratico. A far traballare lo scranno di Bersani
è soprattutto Filippo Penati, o meglio le inchieste che lo riguardano. L'ex
presidente della provincia di Milano, nonché ex capo della segretaria
bersaniana, è accusato non solo di aver ricevuto tangenti quando era sindaco
di Sesto san Giovanni, la Stalingrado d'Italia, ma è di questi giorni la notizia
dell’imputazione anche del reato di corruzione. Non solo. L’inchiesta si sta
allargando e nelle intercettazioni spunta anche il nome di Angelo Rovati, ex
consulente economico di Prodi all'epoca del suo governo di centrosinistra.
L'imbarazzo creato dalla vicenda ha portato a un'inchiesta interna, svolta da
una commissione di garanzia presediuta dall'ex ministro Luigi Berlunguer, che
pur di mantenere immacolata l'immagine del Pd ha modificato a suo piacere lo
statuto. Autosospensione momentanea è stato il verdetto della commissione. Si
potrebbe parafrasare colpirne uno per 'salvare' tutti. A onor del vero, però,
prima di questa sentenza Filippo Penati, dopo le numerose richieste dei
vertici del partito, dichiarò la sua volontà di rinunciare alla prescrizione.
L'inchiesta di Monza si sta allargando, seppur buona parte della stampa
riservi la notizia in seconda pagina, e si scoprono gli intrecci sempre più
stretti tra affari e politica che riguarderebbero, secondo i vari filoni
d'indagine, anche le cooperative rosse. Sembra sempre più difficile che per
uscire dal pantano basti aver fatto fuori «il compagno» Penati.
La leadership di Bersani che, apparentemente non
sembra risentire di troppi contraccolpi, viene comunque sempre più messa in
discussione da chi ambisce al ruolo di segretario. È della scorsa settimana l’intervista con cui
Matteo Renzi dalle pagine del 'Corriere della Sera' ha sancito la sua
definitiva discesa in campo. Il sindaco di Firenze ha anche abdicato al suo
ruolo di guida dei rottamatori e ha rotto con il suo compagno di viaggio
Giuseppe Civati, consigliere regionale del Pd lombardo e membro della
direzione nazionale del partito. Per Renzi ormai il tema generazionale non è
più centrale e quindi si può fare a meno di Civati per puntare alla leadership.
Ma, come ha spiegato il presidente del Pd Rosi Bindi, questo obiettivo per
l’attuale sindaco di Firenze sarebbe raggiungibile solo se fuoriuscisse dal
partito in quanto, secondo lo statuto, la candidatura a leader del
centrosinistra spetta solo al segretario che, al momento, è Bersani. Per
sbloccare l'impasse si dovrebbe nuovamente modificare lo statuto. Sempre per
quanto riguarda il rapporto tra le contingenze politiche del momento e il
rispetto delle regole interne a tenere banco è anche il tema delle legge
elettorale.
Le 'vecchie glorie' del centrosinistra Arturo Parisi
e Pier Lugi Castagnetti hanno iniziato, con il sostegno di quasi tutta la
minoranza veltroniana, la raccolta delle firme per il ritorno al Mattarellum.
Referendum appoggiato con gran
forza anche da Romano Prodi ma non da Bersani che per non scontentare nessuno
non ha preso una decisione netta ma si è limitato a dire: «siamo
amichevoli con il movimento della società civile che vuole cancellare la legge
elettorale», ma «il Mattarellum non è la nostra proposta»,
perché «il Pd ha la sua proposta di riforma presentata in Parlamento».
Ed è proprio questo a creare discordia. In luglio il Pd ha presentato un suo
progetto di legge elettorale, tutt'ora sostenuto da Massimo D'Alema, Giuseppe
Fioroni e Luciano Violante. Il ritorno al Mattarellum, infatti, metterebbe in
difficoltà coloro che vogliono un'alleanza con il Terzo Polo e perciò questi
ritengono che il partito su questo tema non possa cambiare posizione ogni paio
di mesi. Sta di fatto che il Pd sulla legge elettorale è diviso sin dalla sua
nascita e non è roba da poco perché da questa dipendono le strategie future e
le alleanze per il 2013 nonché il nome di chi sarà alla guida della
coalizione di centrosinistra. Bersani o un papa straniero?
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