venerdì 20 aprile 2012

Il fallimento delle strategie politiche dell'opposizione










di Francesco Curridori
  



lunedì 17 ottobre 2011

Buona anche la cinquantunesima. Con trecentosedici sì il governo ottiene nuovamente la fiducia. A nulla sono serviti gli espedienti delle opposizioni: prima il giochetto di Giachetti di nascondere i deputati Pd prima delle votazioni, poi l'esperimento aventiniano e infine l'escamotage del numero legale. Silvio ce la fa pure stavolta e scoppia il caos dentro il gruppo del Partito democratico con Rosy Bindi che apostrofa i radicali con un eloquente:«stronzi». Ma andiamo con ordine e facciamo un passo indietro. Martedì la Camera ha bocciato il rendiconto dello Stato grazie a un abile giochetto del deputato democratico Roberto Giachetti. Come ha ben spiegato Paolo Guzzanti su Panorama martedì la maggioranza è andata sotto di un solo voto perché Giachetti prima ha fatto uscire dall'aula alcuni suoi colleghi di partito, poi ha lasciato intendere che ci fosse ancora un'ora e infine poco dopo ha chiesto di votare, mettendo in difficoltà i colleghi della maggioranza che per vari motivi «tecnici» si erano assentati dall'Aula credendo di avere tutto il tempo di una telefonata o di una sigaretta.
L'unica decisione che ha unito tutte le opposizioni è stata la scelta di riproporre «l'aventino» non partecipando al discorso di Silvio Berlusconi. Una scelta non condivisa dai radicali che, per rispetto delle istituzioni, si sono presentati in aula e non hanno eseguito gli ordini di una scuderia quale quella del Partito democratico che, per buona parte, ha mal digerito la loro presenza in lista. Premesso che in amore e in guerra ogni mezzo è lecito, i metodi fin qui usati dalle opposizioni per far cadere il governo sono stati improduttivi e antidemocratici perché non hanno portato al risultato sperato e perché privi di una strategia che delinei un'alternativa di governo. Anche se l'opposizione fosse riuscita a convincere i radicali a far mancare il numero legale (al di là del fatto che il loro voto non è comunque stato determinante), tutto ciò che sarebbe nato dopo sarebbe stato molto probabilmente il frutto del caso. Ora si possono usare certi mezzucci e si può pure far cadere un governo anche per un voto ma solo se si vuole poi andare alle urne. Viceversa se al governo sfiduciato si vuole opporre un governo di larghe intese bisogna avere dei numeri ben più ampi altrimenti anche questo nuovo esecutivo dipenderà dall'influenza o dal mal di pancia di qualsiasi peones.
Per il momento i numeri dicono 316 voti per la maggioranza e 301 per le opposizioni e con 15 voti di vantaggio l'ipotesi di un governo tecnico o di larghe intese o «del presidente» pare allontanarsi per sempre, almeno in questa legislatura. Ammesso e non concesso che in primavera si vada a votare oppure no, tralasciando ogni considerazioni di carattere strategico, resta il dato politico riassumibile con una metafora calcistica: se il Milan non stravince, l'Inter non riesce neppure a pareggiare. L'immagine che più resterà impressa di questa cinquantunesima fiducia è ancora una volta quella che rimarca le divisioni della sinistra con i democratici che inveiscono contro i radicali per la loro decisione di non offendere quelle istituzioni sancite dalla Carta costituzionale che tanto viene osannata a sinistra. Le opposizioni in questi tre anni non solo hanno sbagliato tutte le strategie, sperando che la magistratura, le scissioni interne al Pdl o i mal di pancia della maggioranza potessero riempire il loro vuoto politico-programmatico che nemmeno un governo tecnico guidato da Mario Monti avrebbe potuto colmare. Di fronte alle richieste della Bce come avrebbe potuto agire un governo che al suo interno comprendesse tutte le opposizioni e parte della maggioranza?

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