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lunedì
17 ottobre 2011
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Buona anche la cinquantunesima. Con trecentosedici sì il governo ottiene
nuovamente la fiducia. A nulla sono serviti gli espedienti delle opposizioni:
prima il giochetto di Giachetti di nascondere i deputati Pd prima delle
votazioni, poi l'esperimento aventiniano e infine l'escamotage del numero
legale. Silvio ce la fa pure stavolta e scoppia il caos dentro il gruppo
del Partito democratico con Rosy Bindi che apostrofa i radicali con un
eloquente:«stronzi». Ma andiamo con ordine e facciamo un passo indietro.
Martedì la Camera ha bocciato il rendiconto dello Stato grazie a un abile
giochetto del deputato democratico Roberto Giachetti. Come ha ben spiegato
Paolo Guzzanti su Panorama martedì la maggioranza è andata sotto di un solo
voto perché Giachetti prima ha fatto uscire dall'aula alcuni suoi colleghi di
partito, poi ha lasciato intendere che ci fosse ancora un'ora e infine poco
dopo ha chiesto di votare, mettendo in difficoltà i colleghi della
maggioranza che per vari motivi «tecnici» si erano assentati
dall'Aula credendo di avere tutto il tempo di una telefonata o di una
sigaretta.
L'unica decisione che ha unito tutte le opposizioni
è stata la scelta di riproporre «l'aventino» non partecipando al
discorso di Silvio Berlusconi. Una
scelta non condivisa dai radicali che, per rispetto delle istituzioni, si
sono presentati in aula e non hanno eseguito gli ordini di una scuderia quale
quella del Partito democratico che, per buona parte, ha mal digerito la loro
presenza in lista. Premesso che in amore e in guerra ogni mezzo è lecito, i
metodi fin qui usati dalle opposizioni per far cadere il governo sono stati
improduttivi e antidemocratici perché non hanno portato al risultato sperato
e perché privi di una strategia che delinei un'alternativa di governo. Anche
se l'opposizione fosse riuscita a convincere i radicali a far mancare il
numero legale (al di là del fatto che il loro voto non è comunque stato
determinante), tutto ciò che sarebbe nato dopo sarebbe stato molto
probabilmente il frutto del caso. Ora si possono usare certi mezzucci e si
può pure far cadere un governo anche per un voto ma solo se si vuole poi
andare alle urne. Viceversa se al governo sfiduciato si vuole opporre un
governo di larghe intese bisogna avere dei numeri ben più ampi altrimenti
anche questo nuovo esecutivo dipenderà dall'influenza o dal mal di pancia di
qualsiasi peones.
Per il momento i numeri dicono 316 voti per la
maggioranza e 301 per le opposizioni e con 15 voti di vantaggio l'ipotesi di
un governo tecnico o di larghe intese o «del presidente» pare allontanarsi
per sempre, almeno in questa legislatura. Ammesso e non concesso che in
primavera si vada a votare oppure no, tralasciando ogni considerazioni di
carattere strategico, resta il dato politico riassumibile con una metafora
calcistica: se il Milan non stravince, l'Inter non riesce neppure a
pareggiare. L'immagine che più resterà impressa di questa cinquantunesima
fiducia è ancora una volta quella che rimarca le divisioni della sinistra con
i democratici che inveiscono contro i radicali per la loro decisione di non
offendere quelle istituzioni sancite dalla Carta costituzionale che tanto
viene osannata a sinistra. Le opposizioni in questi tre anni non solo hanno
sbagliato tutte le strategie, sperando che la magistratura, le scissioni
interne al Pdl o i mal di pancia della maggioranza potessero riempire il loro
vuoto politico-programmatico che nemmeno un governo tecnico guidato da Mario
Monti avrebbe potuto colmare. Di fronte alle richieste della Bce come avrebbe
potuto agire un governo che al suo interno comprendesse tutte le opposizioni
e parte della maggioranza?
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