sabato 21 luglio 2012

Ancora beghe nel Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it sabato 14 luglio 2012 Sempre la stessa solfa. Il discorso di Pier Luigi Bersani all’assemblea nazionale del Pd sembra il remake di un film già visto. Il ritorno di Berlusconi nell’arena politica come candidato premier spaventa molto di più del temutissimo spread. Un ritorno definito «agghiacciante» dal segretario del Pd il quale forse però avrebbe fatto meglio a usare quel termine per descrivere lo spettacolo che oggi ha dato il gotha della sinistra italiana. Tra primarie rinviate e mozioni sui matrimoni omosessuali a fare la parte della protagonista è Rosy Bindi, presidente del partito. Bersani, dopo le dichiarazioni di rito di pieno sostegno al «pompiere Monti», l’appello al «risveglio civile» e il ringraziamento a Napolitano per aver richiamato le forze parlamentari a modificare l’attuale legge elettorale, ha dovuto a sua volta spegnere l’incendio che i suoi avevano appiccato. «Attenzione noi siamo il primo partito del Paese, dobbiamo dire con precisione all'Italia che cosa vogliamo, il Paese non è fatto delle beghe nostre» ha ammonito il segretario dopo che era stato approvato solo uno dei due documenti relativi ai diritti alle coppie di fatto e omosessuali. «Nel momento in cui per la prima volta il Partito democratico prende l'impegno ad una regolamentazione giuridica delle unioni, vedo gente che dice vado via» ha proseguito il segretario nell’intento di frenare fin da subito eventuale fughe da parte dei cattolici democratici o dei laicisti. Il presidente del partito Rosy Bindi ha infatti negato la possibilità di votare un secondo documento sui diritti civili che in maniera più esplicita appoggiava le nozze gay. A destare scandalo sono state le parole di Enrico Fusco, delegato della Puglia che prima della votazione ha attaccato il documento definendolo «arcaico, irrispettoso, offensivo per la dignità delle persone. Non è un passo in avanti ma un passo indietro enorme. Anche Fini è più avanti di noi». Sulle primarie, invece, apparentemente non sembrano esserci divergenze di vedute ma intanto oggi non si è sciolto il nodo della data e così c’è il rischio che slittino a dicembre. «È nostra intenzione determinare un grande appuntamento di partecipazione per la scelta del candidato dei progressisti alla guida del governo. Dalla Direzione è venuto un criterio di apertura, un criterio che suggerisce di privilegiare l’allargamento della partecipazione, piuttosto che l’allestimento di barriere», ha infatti pomposamente dichiarato Bersani chiarendo che saranno primarie aperte anche ad altri esponenti del Pd. Fin qui nulla di strano, anzi vi è persino una chiara apertura alla candidatura di Matteo Renzi, il quale dal canto suo si è affrettato a mettere in guardia il segretario: «i giovani del Pd non sono come quelli del Pdl. Non faremo come Alfano, che appena è tornato Berlusconi ha detto: ‘Prego, si accomodi’ ». La decisione della presidenza di non mettere ai voti i tre ordini del giorno sulle regole per le primarie non solo per il candidato premier ma anche per i parlamentari e sul limite di tre mandati per gli stessi parlamentari ha creato un’ennesima bagarre con una parte della sala, che si è alzata al gridi «voto,voto,voto». A guidare la contestazione l’ex «rottamatore» Beppe Civati. A creare ancora più atriti ci pensa Dario Franceschini il quale con la sua dichiarazione anziché sgombrare il campo da eventuali equivoci sembra aggiungerne di nuovi: «può essere che in base alle parole di Bersani si apra la possibilità che anche altri iscritti Pd si candidino alle primarie ma è naturale che il candidato ufficiale del Pd è il segretario del partito». Ancora una volta il Pd dà l’immagine di un partito concentrato più sulle beghe interne che sulle sorte del Paese e Bersani quella di un leader che vorrebbe governare l’Italia ma che non riesce a governare nemmeno il proprio partito. Tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201207145424/partiti-e-istituzioni/ancora-beghe-nel-pd.html

L'affaire Lusi, spina nel fianco del Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it martedì 26 giugno 2012 Il Partito Democratico è sempre stretto tra due fuochi. Da una parte il voto sull'arresto di Lusi e le cozze pelose di Penati, dall'altra lo scoop dell'Espresso sul piano berlusconiano di candidare l'attuale sindaco di Firenze a premier del centrodestra. Il Pdl non ha partecipato al voto sulla richiesta d'arresto di Lusi lasciando che fosse il Pd a risolvere una faccenda tutta interna al campo del centrosinistra. Ora tutti tremano davanti all'idea che Lusi possa fare altri nomi e l'inchiesta si allarghi. Per il momento nessun esponente del Pd ha ricevuto un avviso di garanzia ma Lusi ha ribadito che con la fusione con i Ds e la nascita del Pd, dentro la Margherita fu raggiunto un accordo, del quale egli fungeva da garante, per la ripartizione dei fondi e delle spese tra popolari a cui sarebbe spettato il 60% e ai rutelliani a cui sarebbe stato destinato il restante 40%. Rutelli, inoltre, secondo le rivelazioni di Lusi, quando era ancora alla guida della Margherita sarebbe stato al corrente di tutte le sue operazioni illecite e le avrebbe avvallate. Ha del tragicomico, invece, la vicenda di Filippo Penati, l’ex braccio destro di Bersani che è indagato dalla procura di Monza in merito a giro di tangenti intascate per la riqualificazione dell'ex area Falck di Sesto San Giovanni, comune di cui è stato primo cittadino dal ’94 al 2001. Dagli sviluppi delle indagini risulta che Penati avrebbe messo in conto alla sua fondazione «Fare Metropoli» una serie di fatture di pranzi e cene a base di cozze pelose, gli stessi frutti di mare che hanno inguaiato il sindaco di Bari Michele Emiliano. Numerosi sono i conti intestati anche al suo ex portavoce, Franco Maggi con il quale Penati era un abituè dei ristoranti del centro della Capitale. Il caso Renzi-l'Espresso è molto più emblematico. L'attuale sindaco di Firenze è indubbiamente il politico più berlusconiano nel panorama politico italiano. La gestualità, la scenografia degli eventi, il carattere spigliato nel rivolgere battute mordenti agli avversari ma soprattutto il progetto politico di rompere uno schema consolidato e obsoleto nell’area del centrosinistra. Non è un caso che secondo un recente sondaggio solo il 39% degli elettori di centrosinistra lo voterebbe, mentre tra gli elettori del centrodestra il suo consenso è del 37%. Che poi lo scoop di Repubblica sia reale o invece sia solo un'opera di discredito da parte del gruppo L'Espresso di Carlo De Benedetti è un problema secondario anche se a destra nessuno ha smentito la veridicità di quel documento. La verità è che il Pd è un partito ancora a carattere socialdemocratico dove chi espone idee liberal o vicine al cattolicesimo democratico viene emarginato. I casi di Pietro Ichino e di Beppe Fioroni, che sono sistematicamente tacitati rispettivamente dai colleghi di partito Stefano Fassina e Paola Concia, ne sono un esempio. Il responsabile economico del Pd in questi giorni si è speso molto nello sbeffeggiare anche Renzi, definendolo «un portaborse, uno che è diventato sindaco per caso». È anche vero che Renzi «se le va a cercare». Nel corso del suo ultimo intervento al Big Bang, la manifestazione dove avrebbe dovuto annunciare la sua candidatura alle primarie, ha attaccato pesantemente i vertici del Pd: «Caro D’Alema, caro Veltroni, cara Rosy, caro Marini: in questi anni avete fatto molto per il partito e per il paese. Adesso anche basta. Si può servire l’Italia non necessariamente stando appiccicato a una poltrona». Immediata è arrivata la risposta della Bindi, presidente del partito: «Certo che se è Matteo Renzi, e in quel modo, a darmi lo sfratto, allora mi viene la voglia di restare». E ancora: «Le nostre regole sono chiare - afferma -: alle primarie di coalizione per la premiership il partito va con il proprio segretario, contro non possono scendere in campo altri esponenti del Pd ma solo quelli degli altri partiti. Nonostante questo abbiamo proposto primarie aperte». Certo che deve fare molta paura questo Renzi se gli si vuole persino impedire di candidarsi. tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201206265403/partiti-e-istituzioni/l-affaire-lusi-spina-nel-fianco-del-pd.html

Le vicissitudini del Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it martedì 12 giugno 2012 Riforme, authority, primarie e alleanze. Quanta carne al fuoco nel pentolone del Partito democratico che venerdì si è riunito per annunciare la candidatura del segretario Pier Luigi Bersani alle primarie che si terranno a ottobre. Un segretario che guida un partito completamente balcanizzato dalle mosse degli scalpitanti e intraprendenti giovani democratici come il «rottamatore» Matteo Renzi e il «giovane turco» Stefano Fassina. Il primo punta a battere Bersani alle primarie, mentre il secondo mira a far cadere il governo Monti per un tornaconto. C'è una parte del partito che vuole monetizzare subito il distacco col centrodestra ma per farlo bisogna sciogliere alcuni nodi. Primo tra tutti la riforma della legge elettorale e solo in un secondo momento si capirà come e da chi sarà composta la futura alleanza di centrosinistra. A parole Pd e Pdl desiderano cambiare la legge elettorale ma ci sono alte probabilità che rimanga il porcellum. Angelino Alfano si è detto pronto ad accettare il doppio turno (che già da tempo è inserito nello statuto del Pd) in cambio del semipresidenzialismo, mentre la direzione nazionale dei democratici ha respinto tale offerta ritenendola irricevibile. In quella occasione Bersani ha proposto: «un patto dei democratici e dei progressisti per l'Italia», lasciando così aperta la possibilità di alleanze con associazioni, movimenti e liste civiche e aprendo di fatto le porte a una «lista Saviano» per cercare di arginare il grillismo. Eventualità questa che è stata accolta male dal consigliere lombardo Beppe Civati il quale intravede in questa operazione il pericolo di trasformare il Pd in una sorta di «bad company» dove candidare soltanto la vecchia nomenclatura. Anche Civati pare essere interessato alla corsa per la premiership ma è molto probabile che da qui a ottobre la frattura tra lui e Renzi si ricomponga e che insieme alla Debora Serracchiani creino nuovamente un'unica corrente di giovani rottamatori pronti a lottare contro gli oligarchi del Pd. Le difficoltà per il Pd però non sono solo nel fronte interno ma soprattutto sul fronte esterno dove appare sempre più definitiva la rottura con l'Italia dei valori. Antonio Di Pietro ha infatti criticato l'alleanza di governo tra Pd e Pdl: «Non è più il tempo di primi della classe. Ci vuole coerenza tra parole e comportamenti. Non ce l'ha detto il medico di stare insieme. La politica in questo momento è offesa da chi fa le spartizioni sull'Agcom, da chi vota la fiducia sull'articolo 18, da chi va in piazza e poi sta con il governo Monti». E proprio sull'articolo 18 e sul sostegno al governo Monti, Bersani si è preso i fischi dalla platea al convegno della Fiom. Ma critiche arrivano anche dal centro a causa della partecipazione di Bersani al gay Pride di Bologna nel corso del quale il segretario ha fatto una notevole apertura verso le unioni civili tra persone dello stesso sesso mettendo così in seria difficoltà l'alleanza con i cattolici e i moderati, sia quelli interni al Pd sia con l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Ed è in questo contesto che si inserisce la proposta della legge elettorale maggioritaria col doppio turno. Lo scopo è duplice: da un lato far fallire ogni tentativo di riforma per mantenere il porcellum, una legge che favorisce le coalizioni ampie, dall'altro la possibilità col maggioritario a doppio turno (se introdotto) di ridurre la rappresentanza di forze che puntano alla corsa solitaria come il Movimento 5 stelle o l'Idv nel caso la foto di Vasto venisse definitivamente stracciata da Di Pietro. Nell'attesa che la riforma elettorale si compia o meno il posto di Bersani è sempre più «precario». Tratto da:http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201206125378/partiti-e-istituzioni/-le-vicissitudini-del-pd.html

Nel Pd la sconfitta di Parma brucia ma i vertici del partito minimizzano

Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it giovedì 24 maggio 2012 Ora come allora. Molto si è detto e si è scritto sulle analogie e sulle differenze tra il biennio ‘92-’93 e il periodo storico che stiamo vivendo. Oggi come allora: crisi economica, governi tecnici, partiti tradizionali in crisi e nuovi soggetti politici che irrompono sul panorama politico. I risultati di queste amministrative, infatti, da un certo punto di vista sembrano essere molto simili a quelli del 1993 in cui la sinistra vinse in tutte le città più importanti: Roma, Torino, Venezia, Genova ecc…eccetto Milano che fu conquistata dalla Lega Nord, un movimento autonomista che aveva già avuto un ragguardevole successo alle Politiche dell’anno precedente. Certo Parma non è Milano ma la vittoria dei grillini contro «l’usato sicuro» dell’establishment democratico locale, ossia contro il presidente della provincia Vincenzo Bernazzoli, rappresenta un segnale non indifferente per il Partito democratico. E non a caso Matteo Renzi, il sindaco-rottamatore di Firenze, ha ammonito il segretario del suo partito: «Il Pd ha vinto la sfida dei numeri ma non ha convinto nella sfida politica. Se Bersani e i suoi colleghi segretari di partito si rendono conto che la somma di astenuti, grillini e outsider rende i partiti, tutti insieme, minoranza nel Paese, allora abbiano il coraggio di alcuni cambiamenti subito». Parole che stridono davanti alla farneticante dichiarazione di Bersani che è stata sbeffeggiata persino da Crozza durante la trasmissione di Ballarò: «A Parma non abbiamo perso, abbiamo non vinto», facendo così passare per buona l’analisi di Enrico Letta secondo cui il grillino Pizzarotti avrebbe vinto grazie ai voti degli elettori del centrodestra che sarebbero andati i massa a votare per lui pur di non far vincere la sinistra. Ora, ammesso pure che questa tesi sia valida, ci sarebbe da chiedersi come mai una città che fino al 1997 era considerata storicamente rossa, dopo un’amministrazione fallimentare come quella di Vignali, non ritorni nelle mani del centrosinistra, seguendo quindi quella che è stata la tendenza generale di questa tornata elettorale. A Parma, pur di non essere governati di nuovo dal centrosinistra, gli elettori di centrodestra, anziché starsene a casa come è avvenuto nel resto d’Italia per questi ballottaggi, hanno scelto di votare il grillino. E per giunta è sbagliata anche la tesi secondo cui l’errore di Bernazzoli sarebbe stato quello di non riuscire ad incrementare i voti del primo turno ma di essere soltanto riuscito a mantenere il 39% del primo turno. In realtà Bernazzoli al ballottaggio ha preso 600 voti in meno rispetto al primo turno. La sconfitta di Parma brucia nel Pd e mentre i vertici del partito cercando di minimizzarla, i giovani come Debora Serracchiani se ne preoccupano arrivando a scrivere sui social network: «Non nascondiamo la testa sotto la sabbia: il risultato di Parma, che ha visto l’affermazione del candidato del Movimento 5 stelle, Federico Pizzarotti, offusca ogni altra vittoria del Pd». E la offusca anche perché le vittorie del Pd sono ben poche. Se, oltre a Parma. si considerano le altri grandi sfide si può vedere come a Verona abbia perso al primo turno, a Palermo Ferrandelli contro Leoluca Orlando non ha superato il 27% e a Genova ha vinto Doria, candidato di Sel che alle primarie cittadine aveva sconfitto le due candidate del Pd: l’ex sindaco Marta Vincenzi e la senatrice Roberta Pinotti. La riconferma di Cialente a L’Aquila è l’unica vittoria dei democrat in un capoluogo di regione perché a Catanzaro il Pd ha perso già al primo turno. E non bisogna dimenticare le sconfitte del primo turno a Lecce e a Gorizia, il ribaltone avvenuto al ballottaggio a Frosinone con il centrodestra vincente. A Cuneo, invece, il candidato democratico ha perso contro l’Udc e a Belluno contro una lista civica guidata dall’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale che era stato espulso dal partito perché aveva chiesto che si facessero le primarie per la scelta del candidato sindaco. In totale sono nove i candidati democratici che non hanno bissato la vittoria e in tre casi le sconfitte sono scaturite a cause delle primarie: Genova, Palermo e Belluno. Ora il Pd si trova davanti a un problema analogo a quello del ’93: è il primo partito ma non ha la forza numerica necessaria per essere determinate nei confronti dei suoi stessi alleati, non ha un leader sostenuto da tutto il partito e, ora come allora, non è in grado di recepire le novità che si chiamino Lega Nord o Movimento cinque stelle poco importa. L’importante è farsi fregare voti continuando a far finta di nulla. Lo spettro del ’93-’94 si aggira nella sinistra italiana e non è detto che la gioiosa macchina da guerra della sinistra non si schianti ora come allora. tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201205245350/partiti-e-istituzioni/nel-pd-la-sconfitta-di-parma-brucia-ma-i-vertici-del-partito-minimizzano.html

Il “censimento” dei partiti politici

Lista Montezemolo, lista Saviano e Italia pulita. La Seconda Repubblica è al tramonto e i partiti tradizionali cercano di frenare l’avanzata dell’antipolitica e del Movimento cinque stelle di Beppe Grillo con la nascita di liste civiche. Mentre alle ultime elezioni amministrative l’astensionismo ha raggiunto livelli record, nel terzo polo e nel centrodestra si discute sulla discesa in campo di Montezemolo, nel Pd sull’opportunità di consentire la creazione di una lista che apra alla società civile sotto la protezione di Saviano e del quotidiano Repubblica e Berlusconi intende affidare all’ex capo della Protezione civile Bertolaso la nascita di una lista civica “Italia Pulita”. È la fine dei partiti? Dopo quasi vent’anni dall’inizio della Seconda Repubblica ci si avvia al suo tramonto con una quasi certezza: il bipolarismo non si è mai realizzato e forse non si realizzerà mai e ancor meno il bipartitismo potrà trovare terreno fertile nel nostro Paese. Sebbene in Italia non esista una normativa che regolamenti la vita democratica dei partiti perché l’articolo 49 della Costituzione è tutt’ora ancora inapplicato, abbiamo provato a fare un “censimento” dei partiti attualmente esistenti in Italia.
Nel Parlamento italiano a inizio legislatura erano otto: Pd, Pdl, Idv, Lega Nord, Udc, Mpa, Svp e Uv con i Radicali che erano stati eletti dentro le file del Pd e i repubblicani di Francesco Nucara eletti col Pdl. Nel giro di quattro anni sono nati: il Fli di Gianfranco Fini, l’Api di Francesco Rutelli, il Movimento di Responsabilità Nazionale (MRN) di Domenico Scilipoti, l’Alleanza di centro (ADC) di Francesco Pionati, i Popolari dell’Italia di Domani (Pid), il Grande Sud nato dalla fusione tra Forza del Sud di Gianfanco Miccichè, Io Sud di Adriana Poli Bortone e Noi Sud di Arturo Iannaccone, mentre Stefania Craxi ha da poco fondato il movimento Riformisti Italiani e il senatore Enrico Musso nel 2011 aderisce al PLI. Sempre al Senato è presente anche un esponente del movimento Verso Nord di Massimo Cacciari, mentre il vicepresidente Rosy Mauro, recentemente espulsa dalla Lega, ha dato vita al partito Siamo gente comune Movimento territoriale.
Fuori dal Parlamento i partiti più importanti, presenti in tutto il territorio nazionale, sono 18. A sinistra troviamo SEL di Nichi Vendola, Fds (Prc-Pdci) ossia la Federazione della Sinistra di Paolo Ferrero e di Oliviero Diliberto, Sinistra Critica di Marco Rizzo, il Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando e la Federazione dei Verdi di Angelo Bonelli. Al centro abbiamo dei mini partiti che si pongono l’obiettivo di riportare il centro ai fasti della Prima Repubblica: l’Udeur di Clemente Mastella, la Dc di Giuseppe Pizza e quella di Angelo Sandri, Rifondazione Dc di Publio Fiori, Io amo l’Italia del giornalista Magdi Cristiano Allam. Dalla diaspora del Psi sono nati: il Nuovo Psi di Stefano Caldoro, il Psi di Riccardo Nencini, il Psdi di Renato D’Andria. A destra, invece, dal congresso di Fiuggi ad oggi sono nati: La Destra di Francesco Storace, Forza Nuova di Roberto Fiore, Movimento Sociale-Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli, Movimento idea sociale di Pino Rauti. Fuori dagli schemi ma sempre vicino al centrodestra ci sono il partito Pensionati di Carlo Fatuzzo e il Tea party italiano che sabato a Venezia ha dato vita al #NOIMUDAY.
A livello regionale vi è una moltitudine di partiti autonomisti soprattutto in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta dove comunque la fanno da padroni SVP e l’Union Valdotaine. Nel resto del Nord fino a pochi mesi fa la Lega Nord viaggiava attorno al 10%. Nel resto del Paese il partito autonomista più antico è il Psd’az, partito sardo d’azione, creato dal partigiano Emilio Lussu dalle ceneri del Partito d’azione.
Se poi si visita il sito dei brevetti e dei marchi si può notare che esistono un’altra infinità di partiti, pulviscoli buoni per tutte le necessità. Si va dal partito degli automobilisti al partito dell’onestà, dal partito della felicità al partito italiano donne sino ad arrivare al partito di transizione e per finire col partito delle buone maniere dr. Seduction. Insomma tutti criticano e ripugnano i partiti ma, prima o poi, più o meno tutti desiderano fondarne uno e aspirano a far politica.


di Francesco Curridori tratto da: http://www.t-mag.it/2012/06/18/il-censimento-dei-partiti-politici/