sabato 21 luglio 2012

Ancora beghe nel Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it sabato 14 luglio 2012 Sempre la stessa solfa. Il discorso di Pier Luigi Bersani all’assemblea nazionale del Pd sembra il remake di un film già visto. Il ritorno di Berlusconi nell’arena politica come candidato premier spaventa molto di più del temutissimo spread. Un ritorno definito «agghiacciante» dal segretario del Pd il quale forse però avrebbe fatto meglio a usare quel termine per descrivere lo spettacolo che oggi ha dato il gotha della sinistra italiana. Tra primarie rinviate e mozioni sui matrimoni omosessuali a fare la parte della protagonista è Rosy Bindi, presidente del partito. Bersani, dopo le dichiarazioni di rito di pieno sostegno al «pompiere Monti», l’appello al «risveglio civile» e il ringraziamento a Napolitano per aver richiamato le forze parlamentari a modificare l’attuale legge elettorale, ha dovuto a sua volta spegnere l’incendio che i suoi avevano appiccato. «Attenzione noi siamo il primo partito del Paese, dobbiamo dire con precisione all'Italia che cosa vogliamo, il Paese non è fatto delle beghe nostre» ha ammonito il segretario dopo che era stato approvato solo uno dei due documenti relativi ai diritti alle coppie di fatto e omosessuali. «Nel momento in cui per la prima volta il Partito democratico prende l'impegno ad una regolamentazione giuridica delle unioni, vedo gente che dice vado via» ha proseguito il segretario nell’intento di frenare fin da subito eventuale fughe da parte dei cattolici democratici o dei laicisti. Il presidente del partito Rosy Bindi ha infatti negato la possibilità di votare un secondo documento sui diritti civili che in maniera più esplicita appoggiava le nozze gay. A destare scandalo sono state le parole di Enrico Fusco, delegato della Puglia che prima della votazione ha attaccato il documento definendolo «arcaico, irrispettoso, offensivo per la dignità delle persone. Non è un passo in avanti ma un passo indietro enorme. Anche Fini è più avanti di noi». Sulle primarie, invece, apparentemente non sembrano esserci divergenze di vedute ma intanto oggi non si è sciolto il nodo della data e così c’è il rischio che slittino a dicembre. «È nostra intenzione determinare un grande appuntamento di partecipazione per la scelta del candidato dei progressisti alla guida del governo. Dalla Direzione è venuto un criterio di apertura, un criterio che suggerisce di privilegiare l’allargamento della partecipazione, piuttosto che l’allestimento di barriere», ha infatti pomposamente dichiarato Bersani chiarendo che saranno primarie aperte anche ad altri esponenti del Pd. Fin qui nulla di strano, anzi vi è persino una chiara apertura alla candidatura di Matteo Renzi, il quale dal canto suo si è affrettato a mettere in guardia il segretario: «i giovani del Pd non sono come quelli del Pdl. Non faremo come Alfano, che appena è tornato Berlusconi ha detto: ‘Prego, si accomodi’ ». La decisione della presidenza di non mettere ai voti i tre ordini del giorno sulle regole per le primarie non solo per il candidato premier ma anche per i parlamentari e sul limite di tre mandati per gli stessi parlamentari ha creato un’ennesima bagarre con una parte della sala, che si è alzata al gridi «voto,voto,voto». A guidare la contestazione l’ex «rottamatore» Beppe Civati. A creare ancora più atriti ci pensa Dario Franceschini il quale con la sua dichiarazione anziché sgombrare il campo da eventuali equivoci sembra aggiungerne di nuovi: «può essere che in base alle parole di Bersani si apra la possibilità che anche altri iscritti Pd si candidino alle primarie ma è naturale che il candidato ufficiale del Pd è il segretario del partito». Ancora una volta il Pd dà l’immagine di un partito concentrato più sulle beghe interne che sulle sorte del Paese e Bersani quella di un leader che vorrebbe governare l’Italia ma che non riesce a governare nemmeno il proprio partito. Tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201207145424/partiti-e-istituzioni/ancora-beghe-nel-pd.html

L'affaire Lusi, spina nel fianco del Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it martedì 26 giugno 2012 Il Partito Democratico è sempre stretto tra due fuochi. Da una parte il voto sull'arresto di Lusi e le cozze pelose di Penati, dall'altra lo scoop dell'Espresso sul piano berlusconiano di candidare l'attuale sindaco di Firenze a premier del centrodestra. Il Pdl non ha partecipato al voto sulla richiesta d'arresto di Lusi lasciando che fosse il Pd a risolvere una faccenda tutta interna al campo del centrosinistra. Ora tutti tremano davanti all'idea che Lusi possa fare altri nomi e l'inchiesta si allarghi. Per il momento nessun esponente del Pd ha ricevuto un avviso di garanzia ma Lusi ha ribadito che con la fusione con i Ds e la nascita del Pd, dentro la Margherita fu raggiunto un accordo, del quale egli fungeva da garante, per la ripartizione dei fondi e delle spese tra popolari a cui sarebbe spettato il 60% e ai rutelliani a cui sarebbe stato destinato il restante 40%. Rutelli, inoltre, secondo le rivelazioni di Lusi, quando era ancora alla guida della Margherita sarebbe stato al corrente di tutte le sue operazioni illecite e le avrebbe avvallate. Ha del tragicomico, invece, la vicenda di Filippo Penati, l’ex braccio destro di Bersani che è indagato dalla procura di Monza in merito a giro di tangenti intascate per la riqualificazione dell'ex area Falck di Sesto San Giovanni, comune di cui è stato primo cittadino dal ’94 al 2001. Dagli sviluppi delle indagini risulta che Penati avrebbe messo in conto alla sua fondazione «Fare Metropoli» una serie di fatture di pranzi e cene a base di cozze pelose, gli stessi frutti di mare che hanno inguaiato il sindaco di Bari Michele Emiliano. Numerosi sono i conti intestati anche al suo ex portavoce, Franco Maggi con il quale Penati era un abituè dei ristoranti del centro della Capitale. Il caso Renzi-l'Espresso è molto più emblematico. L'attuale sindaco di Firenze è indubbiamente il politico più berlusconiano nel panorama politico italiano. La gestualità, la scenografia degli eventi, il carattere spigliato nel rivolgere battute mordenti agli avversari ma soprattutto il progetto politico di rompere uno schema consolidato e obsoleto nell’area del centrosinistra. Non è un caso che secondo un recente sondaggio solo il 39% degli elettori di centrosinistra lo voterebbe, mentre tra gli elettori del centrodestra il suo consenso è del 37%. Che poi lo scoop di Repubblica sia reale o invece sia solo un'opera di discredito da parte del gruppo L'Espresso di Carlo De Benedetti è un problema secondario anche se a destra nessuno ha smentito la veridicità di quel documento. La verità è che il Pd è un partito ancora a carattere socialdemocratico dove chi espone idee liberal o vicine al cattolicesimo democratico viene emarginato. I casi di Pietro Ichino e di Beppe Fioroni, che sono sistematicamente tacitati rispettivamente dai colleghi di partito Stefano Fassina e Paola Concia, ne sono un esempio. Il responsabile economico del Pd in questi giorni si è speso molto nello sbeffeggiare anche Renzi, definendolo «un portaborse, uno che è diventato sindaco per caso». È anche vero che Renzi «se le va a cercare». Nel corso del suo ultimo intervento al Big Bang, la manifestazione dove avrebbe dovuto annunciare la sua candidatura alle primarie, ha attaccato pesantemente i vertici del Pd: «Caro D’Alema, caro Veltroni, cara Rosy, caro Marini: in questi anni avete fatto molto per il partito e per il paese. Adesso anche basta. Si può servire l’Italia non necessariamente stando appiccicato a una poltrona». Immediata è arrivata la risposta della Bindi, presidente del partito: «Certo che se è Matteo Renzi, e in quel modo, a darmi lo sfratto, allora mi viene la voglia di restare». E ancora: «Le nostre regole sono chiare - afferma -: alle primarie di coalizione per la premiership il partito va con il proprio segretario, contro non possono scendere in campo altri esponenti del Pd ma solo quelli degli altri partiti. Nonostante questo abbiamo proposto primarie aperte». Certo che deve fare molta paura questo Renzi se gli si vuole persino impedire di candidarsi. tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201206265403/partiti-e-istituzioni/l-affaire-lusi-spina-nel-fianco-del-pd.html

Le vicissitudini del Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it martedì 12 giugno 2012 Riforme, authority, primarie e alleanze. Quanta carne al fuoco nel pentolone del Partito democratico che venerdì si è riunito per annunciare la candidatura del segretario Pier Luigi Bersani alle primarie che si terranno a ottobre. Un segretario che guida un partito completamente balcanizzato dalle mosse degli scalpitanti e intraprendenti giovani democratici come il «rottamatore» Matteo Renzi e il «giovane turco» Stefano Fassina. Il primo punta a battere Bersani alle primarie, mentre il secondo mira a far cadere il governo Monti per un tornaconto. C'è una parte del partito che vuole monetizzare subito il distacco col centrodestra ma per farlo bisogna sciogliere alcuni nodi. Primo tra tutti la riforma della legge elettorale e solo in un secondo momento si capirà come e da chi sarà composta la futura alleanza di centrosinistra. A parole Pd e Pdl desiderano cambiare la legge elettorale ma ci sono alte probabilità che rimanga il porcellum. Angelino Alfano si è detto pronto ad accettare il doppio turno (che già da tempo è inserito nello statuto del Pd) in cambio del semipresidenzialismo, mentre la direzione nazionale dei democratici ha respinto tale offerta ritenendola irricevibile. In quella occasione Bersani ha proposto: «un patto dei democratici e dei progressisti per l'Italia», lasciando così aperta la possibilità di alleanze con associazioni, movimenti e liste civiche e aprendo di fatto le porte a una «lista Saviano» per cercare di arginare il grillismo. Eventualità questa che è stata accolta male dal consigliere lombardo Beppe Civati il quale intravede in questa operazione il pericolo di trasformare il Pd in una sorta di «bad company» dove candidare soltanto la vecchia nomenclatura. Anche Civati pare essere interessato alla corsa per la premiership ma è molto probabile che da qui a ottobre la frattura tra lui e Renzi si ricomponga e che insieme alla Debora Serracchiani creino nuovamente un'unica corrente di giovani rottamatori pronti a lottare contro gli oligarchi del Pd. Le difficoltà per il Pd però non sono solo nel fronte interno ma soprattutto sul fronte esterno dove appare sempre più definitiva la rottura con l'Italia dei valori. Antonio Di Pietro ha infatti criticato l'alleanza di governo tra Pd e Pdl: «Non è più il tempo di primi della classe. Ci vuole coerenza tra parole e comportamenti. Non ce l'ha detto il medico di stare insieme. La politica in questo momento è offesa da chi fa le spartizioni sull'Agcom, da chi vota la fiducia sull'articolo 18, da chi va in piazza e poi sta con il governo Monti». E proprio sull'articolo 18 e sul sostegno al governo Monti, Bersani si è preso i fischi dalla platea al convegno della Fiom. Ma critiche arrivano anche dal centro a causa della partecipazione di Bersani al gay Pride di Bologna nel corso del quale il segretario ha fatto una notevole apertura verso le unioni civili tra persone dello stesso sesso mettendo così in seria difficoltà l'alleanza con i cattolici e i moderati, sia quelli interni al Pd sia con l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Ed è in questo contesto che si inserisce la proposta della legge elettorale maggioritaria col doppio turno. Lo scopo è duplice: da un lato far fallire ogni tentativo di riforma per mantenere il porcellum, una legge che favorisce le coalizioni ampie, dall'altro la possibilità col maggioritario a doppio turno (se introdotto) di ridurre la rappresentanza di forze che puntano alla corsa solitaria come il Movimento 5 stelle o l'Idv nel caso la foto di Vasto venisse definitivamente stracciata da Di Pietro. Nell'attesa che la riforma elettorale si compia o meno il posto di Bersani è sempre più «precario». Tratto da:http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201206125378/partiti-e-istituzioni/-le-vicissitudini-del-pd.html

Nel Pd la sconfitta di Parma brucia ma i vertici del partito minimizzano

Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it giovedì 24 maggio 2012 Ora come allora. Molto si è detto e si è scritto sulle analogie e sulle differenze tra il biennio ‘92-’93 e il periodo storico che stiamo vivendo. Oggi come allora: crisi economica, governi tecnici, partiti tradizionali in crisi e nuovi soggetti politici che irrompono sul panorama politico. I risultati di queste amministrative, infatti, da un certo punto di vista sembrano essere molto simili a quelli del 1993 in cui la sinistra vinse in tutte le città più importanti: Roma, Torino, Venezia, Genova ecc…eccetto Milano che fu conquistata dalla Lega Nord, un movimento autonomista che aveva già avuto un ragguardevole successo alle Politiche dell’anno precedente. Certo Parma non è Milano ma la vittoria dei grillini contro «l’usato sicuro» dell’establishment democratico locale, ossia contro il presidente della provincia Vincenzo Bernazzoli, rappresenta un segnale non indifferente per il Partito democratico. E non a caso Matteo Renzi, il sindaco-rottamatore di Firenze, ha ammonito il segretario del suo partito: «Il Pd ha vinto la sfida dei numeri ma non ha convinto nella sfida politica. Se Bersani e i suoi colleghi segretari di partito si rendono conto che la somma di astenuti, grillini e outsider rende i partiti, tutti insieme, minoranza nel Paese, allora abbiano il coraggio di alcuni cambiamenti subito». Parole che stridono davanti alla farneticante dichiarazione di Bersani che è stata sbeffeggiata persino da Crozza durante la trasmissione di Ballarò: «A Parma non abbiamo perso, abbiamo non vinto», facendo così passare per buona l’analisi di Enrico Letta secondo cui il grillino Pizzarotti avrebbe vinto grazie ai voti degli elettori del centrodestra che sarebbero andati i massa a votare per lui pur di non far vincere la sinistra. Ora, ammesso pure che questa tesi sia valida, ci sarebbe da chiedersi come mai una città che fino al 1997 era considerata storicamente rossa, dopo un’amministrazione fallimentare come quella di Vignali, non ritorni nelle mani del centrosinistra, seguendo quindi quella che è stata la tendenza generale di questa tornata elettorale. A Parma, pur di non essere governati di nuovo dal centrosinistra, gli elettori di centrodestra, anziché starsene a casa come è avvenuto nel resto d’Italia per questi ballottaggi, hanno scelto di votare il grillino. E per giunta è sbagliata anche la tesi secondo cui l’errore di Bernazzoli sarebbe stato quello di non riuscire ad incrementare i voti del primo turno ma di essere soltanto riuscito a mantenere il 39% del primo turno. In realtà Bernazzoli al ballottaggio ha preso 600 voti in meno rispetto al primo turno. La sconfitta di Parma brucia nel Pd e mentre i vertici del partito cercando di minimizzarla, i giovani come Debora Serracchiani se ne preoccupano arrivando a scrivere sui social network: «Non nascondiamo la testa sotto la sabbia: il risultato di Parma, che ha visto l’affermazione del candidato del Movimento 5 stelle, Federico Pizzarotti, offusca ogni altra vittoria del Pd». E la offusca anche perché le vittorie del Pd sono ben poche. Se, oltre a Parma. si considerano le altri grandi sfide si può vedere come a Verona abbia perso al primo turno, a Palermo Ferrandelli contro Leoluca Orlando non ha superato il 27% e a Genova ha vinto Doria, candidato di Sel che alle primarie cittadine aveva sconfitto le due candidate del Pd: l’ex sindaco Marta Vincenzi e la senatrice Roberta Pinotti. La riconferma di Cialente a L’Aquila è l’unica vittoria dei democrat in un capoluogo di regione perché a Catanzaro il Pd ha perso già al primo turno. E non bisogna dimenticare le sconfitte del primo turno a Lecce e a Gorizia, il ribaltone avvenuto al ballottaggio a Frosinone con il centrodestra vincente. A Cuneo, invece, il candidato democratico ha perso contro l’Udc e a Belluno contro una lista civica guidata dall’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale che era stato espulso dal partito perché aveva chiesto che si facessero le primarie per la scelta del candidato sindaco. In totale sono nove i candidati democratici che non hanno bissato la vittoria e in tre casi le sconfitte sono scaturite a cause delle primarie: Genova, Palermo e Belluno. Ora il Pd si trova davanti a un problema analogo a quello del ’93: è il primo partito ma non ha la forza numerica necessaria per essere determinate nei confronti dei suoi stessi alleati, non ha un leader sostenuto da tutto il partito e, ora come allora, non è in grado di recepire le novità che si chiamino Lega Nord o Movimento cinque stelle poco importa. L’importante è farsi fregare voti continuando a far finta di nulla. Lo spettro del ’93-’94 si aggira nella sinistra italiana e non è detto che la gioiosa macchina da guerra della sinistra non si schianti ora come allora. tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201205245350/partiti-e-istituzioni/nel-pd-la-sconfitta-di-parma-brucia-ma-i-vertici-del-partito-minimizzano.html

Il “censimento” dei partiti politici

Lista Montezemolo, lista Saviano e Italia pulita. La Seconda Repubblica è al tramonto e i partiti tradizionali cercano di frenare l’avanzata dell’antipolitica e del Movimento cinque stelle di Beppe Grillo con la nascita di liste civiche. Mentre alle ultime elezioni amministrative l’astensionismo ha raggiunto livelli record, nel terzo polo e nel centrodestra si discute sulla discesa in campo di Montezemolo, nel Pd sull’opportunità di consentire la creazione di una lista che apra alla società civile sotto la protezione di Saviano e del quotidiano Repubblica e Berlusconi intende affidare all’ex capo della Protezione civile Bertolaso la nascita di una lista civica “Italia Pulita”. È la fine dei partiti? Dopo quasi vent’anni dall’inizio della Seconda Repubblica ci si avvia al suo tramonto con una quasi certezza: il bipolarismo non si è mai realizzato e forse non si realizzerà mai e ancor meno il bipartitismo potrà trovare terreno fertile nel nostro Paese. Sebbene in Italia non esista una normativa che regolamenti la vita democratica dei partiti perché l’articolo 49 della Costituzione è tutt’ora ancora inapplicato, abbiamo provato a fare un “censimento” dei partiti attualmente esistenti in Italia.
Nel Parlamento italiano a inizio legislatura erano otto: Pd, Pdl, Idv, Lega Nord, Udc, Mpa, Svp e Uv con i Radicali che erano stati eletti dentro le file del Pd e i repubblicani di Francesco Nucara eletti col Pdl. Nel giro di quattro anni sono nati: il Fli di Gianfranco Fini, l’Api di Francesco Rutelli, il Movimento di Responsabilità Nazionale (MRN) di Domenico Scilipoti, l’Alleanza di centro (ADC) di Francesco Pionati, i Popolari dell’Italia di Domani (Pid), il Grande Sud nato dalla fusione tra Forza del Sud di Gianfanco Miccichè, Io Sud di Adriana Poli Bortone e Noi Sud di Arturo Iannaccone, mentre Stefania Craxi ha da poco fondato il movimento Riformisti Italiani e il senatore Enrico Musso nel 2011 aderisce al PLI. Sempre al Senato è presente anche un esponente del movimento Verso Nord di Massimo Cacciari, mentre il vicepresidente Rosy Mauro, recentemente espulsa dalla Lega, ha dato vita al partito Siamo gente comune Movimento territoriale.
Fuori dal Parlamento i partiti più importanti, presenti in tutto il territorio nazionale, sono 18. A sinistra troviamo SEL di Nichi Vendola, Fds (Prc-Pdci) ossia la Federazione della Sinistra di Paolo Ferrero e di Oliviero Diliberto, Sinistra Critica di Marco Rizzo, il Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando e la Federazione dei Verdi di Angelo Bonelli. Al centro abbiamo dei mini partiti che si pongono l’obiettivo di riportare il centro ai fasti della Prima Repubblica: l’Udeur di Clemente Mastella, la Dc di Giuseppe Pizza e quella di Angelo Sandri, Rifondazione Dc di Publio Fiori, Io amo l’Italia del giornalista Magdi Cristiano Allam. Dalla diaspora del Psi sono nati: il Nuovo Psi di Stefano Caldoro, il Psi di Riccardo Nencini, il Psdi di Renato D’Andria. A destra, invece, dal congresso di Fiuggi ad oggi sono nati: La Destra di Francesco Storace, Forza Nuova di Roberto Fiore, Movimento Sociale-Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli, Movimento idea sociale di Pino Rauti. Fuori dagli schemi ma sempre vicino al centrodestra ci sono il partito Pensionati di Carlo Fatuzzo e il Tea party italiano che sabato a Venezia ha dato vita al #NOIMUDAY.
A livello regionale vi è una moltitudine di partiti autonomisti soprattutto in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta dove comunque la fanno da padroni SVP e l’Union Valdotaine. Nel resto del Nord fino a pochi mesi fa la Lega Nord viaggiava attorno al 10%. Nel resto del Paese il partito autonomista più antico è il Psd’az, partito sardo d’azione, creato dal partigiano Emilio Lussu dalle ceneri del Partito d’azione.
Se poi si visita il sito dei brevetti e dei marchi si può notare che esistono un’altra infinità di partiti, pulviscoli buoni per tutte le necessità. Si va dal partito degli automobilisti al partito dell’onestà, dal partito della felicità al partito italiano donne sino ad arrivare al partito di transizione e per finire col partito delle buone maniere dr. Seduction. Insomma tutti criticano e ripugnano i partiti ma, prima o poi, più o meno tutti desiderano fondarne uno e aspirano a far politica.


di Francesco Curridori tratto da: http://www.t-mag.it/2012/06/18/il-censimento-dei-partiti-politici/

giovedì 24 maggio 2012

Chi vince, chi perde, chi crede di aver vinto

Finiti i secondi tempi del torneo primaverile di questo 2012, è ora di fare un bilancio conclusivo per analizzare chi ha vinto e chi ha perso queste amministrative.
A livello di “coalizioni”, ammesso che nella fase conclusiva della Seconda Repubblica si possa ancora fare una simile distinzione, il centrosinistra ha ribaltato la situazione portando a 18 le vittorie laddove cinque anni fa 18 erano state le sconfitte. Ha sicuramente perso il centrodestra che, presentandosi diviso quasi ovunque, è stato dapprima escluso dai ballottaggi più importanti e alla resa dei conti ha vinto solo in sei capoluoghi. La Lega vince solo a Verona e per il resto sparisce dal Nord (a parte qualche buon risultato in Veneto al primo turno). Il Terzo polo ne esce con le ossa rotte ma con l’Udc in buona salute. Il Movimento 5 stelle stravince a Parma e vince in altri tre comuni.
A livello di partiti la situazione è un po’ più complessa:
Il Pdl, oltre una cocente sconfitta sia al primo che al secondo turno, subisce un fenomeno di meridionalizzazione della rappresentanza, ovvero sparisce dal Nord Italia. A parte la riconferma di Gorizia, le altre cinque vittorie sono tutte al centro sud e forse non è un caso che proprio il capoluogo friulano sia l’unico in cui il Pdl si presentava unito non solo alla Lega Nord ma anche all’Udc. Gorizia è infatti l’unico caso in cui si sono schierate l’una contro l’altra le coalizioni classiche che si sono scontrate per quasi tutta la Seconda Repubblica. Segno questo che al Nord, senza la Lega, il centrodestra perde.
Le altre vittorie sono state conseguite a Lecce e a Catanzaro (dove i risultati sono tutt’ora contestati dal centrosinistra) al primo turno e a Trani, Trapani e Frosinone, unico capoluogo strappato al centrosinistra. Da segnalare inoltre che anche la vittoria di Trapani è un caso isolato in una Sicilia dove il segretario Alfano perde in casa. In tutti e cinque i casi, poi,  il Pdl non era alleato con l’Udc, ma nella maggior parte dei capoluoghi l’assenza del partito di Casini è stata determinante per decretare la sconfitta del centrodestra.
L’Udc vince ad Agrigento con l’ondivago Zambuto che ottiene la riconferma a sindaco col 75% e a Cuneo dove Borgna batte il candidato del Pd 60 a 40, mentre perde i ballottaggi di Lucca, L’Aquila e Genova dove comunque Enrico Musso passa dal 15 al 40%. Un altro dato non indifferente è che sebbene il Terzo polo sia un progetto ormai accantonato e in termini percentuali l’Udc non sfonda resta determinante per il futuro centrodestra. La mancata alleanza con l’Udc infatti ha precluso al Pdl di andare al ballottaggio a: Genova, L’Aquila, Palermo, Parma, Lucca e di vincere al primo turno a Rieti.
La Lega Nord perde 7 ballottaggi su 7 e secondo le ultime stime sarebbe scesa al 5-6% a livello nazionale, a fronte di un quasi 13% ottenuto alle regionali. L’unico caso in cui i leghisti hanno vinto è Verona con Flavio Tosi che per assicurarsi la riconferma ha cercato ed ottenuto l’appoggio di liste civiche nelle quali si sono presentati esponenti “dissidenti” del Pdl e della vecchia maggioranza.
Il Pd canta vittoria perché il centrosinistra vince nettamente sugli avversari, in termini percentuali tiene ed è il primo partito italiano ma se si analizzano i singoli casi si può notare come si tratti di una “vittoria mutilata”. L’unico capoluogo di regione in cui il Pd vince col proprio candidato è a L’Aquila dove Cialente ottiene la riconferma al secondo turno, mentre a Palermo Ferrandelli ottiene meno del 30% e a Catanzaro, anche se di pochissimo, aveva già perso al primo turno.
La sconfitta più cocente è però sicuramente quella di Parma dove il presidente della provincia Bernazzoli, che partiva con un vantaggio di 20 punti percentuali, subisce una sonora sconfitta dal grillino Pizzarotti il quale invecelo batte con 20 punti di distacco. Le altre sconfitte scottanti si sono verificate: al primo turno a Lecce, Gorizia e Verona (dove il proprio candidato si è fermato al 22%) e al ballottaggio a Frosinone contro il centrodestra, a Cuneo contro l’Udc e a Belluno contro una lista civica guidata dall’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale. In totale sono nove i candidati democratici che non hanno bissato la vittoria, mentre vittorie importanti si sono registrate in alcune roccaforti del centrodestra come Cuneo, Monza, Isernia, Brindisi, Lucca, oltre che ad Asti e Alessandria.
Nelle altre sfide il centrosinistra ha vinto ma con candidati estranei al Pd. È successo a Genova, Rieti e Taranto dove i candidati sindaci vittoriosi sono tutti ascrivibili a Sel. A Palermo, infine c’è la vittoria tutta personale di Leoluca Orlando che viene eletto col 72% con l’appoggio dell’Idv e di Sel, due partiti che insieme al primo turno hanno preso il 19%.

di Francesco Curridori tratto da: 
http://www.thefrontpage.it/2012/05/23/chi-vince-chi-perde-chi-crede-di-aver-vinto/

Guida ragionata alle elezioni amministrative

di Francesco Curridori tratto da: http://www.fareitaliamag.it/2012/05/05/guida-ragionata-alle-elezioni/
Il 6 e 7 maggio più di 7 milioni di italiani saranno chiamati alle urne per eleggere il sindaco in oltre 700 comuni di cui 22 capoluoghi di provincia e quattro di regione: Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo.
Ecco le sfide più significative:

VERONA è il test più importante per verificare la tenuta della Lega Nord dopo gli ultimi fatti che hanno travolto Bossi e il suo clan familiare. Il leghista Flavio Tosi, sindaco uscente, stavolta si ricandida appoggiato soltanto dalla Lega e da una serie di liste civiche che, dopo una lotta interna al partito, è riuscito ad aggregare attorno a sé per strappare voti al centrodestra. Se riuscirà a vincere bene già al primo turno la Lega avrà salvato la faccia. Particolarità delle elezioni veronesi sul versante moderato è l’alleanza tra il Pdl e il Terzo polo che puntano alla poltrona più alta della città con Luigi Castelletti. Alla sua destra il candidato di Forza Nuova Luca Castellini. Il centrosinistra invece si presenta unito con Michele Bertucco, appoggiato da Pd, Idv, Sel, Fds e da due liste civiche. Alla sua sinistra la candidata del Partito di alternativa comunista Barry Ibrahima. Tra gli altri candidati troviamo: Gianni Benciolini per il Movimento cinque stelle e Patrizia Badii per il PANTO, il Partito Nasional Veneto.
GENOVA è un test in cui ancora una volta il centrodestra dimostra di non sapere sfruttare le momentanee difficoltà dell’avversario e si lascia sfuggire la possibilità di vincere in una storica roccaforte rossa. La vittoria della sinistra è scontata, sia chiaro. La città della lanterna è una roccaforte rossa da decenni e la vittoria del candidato di centrosinistra Marco Doria (sostenuto da: Pd, Idv, Sel, Fds, Psi, dall’Unione dei Consumatori e da due liste civiche) è scontata fin dal primo turno non fosse altro che per la debolezza degli avversari. Partiamo dal principio. Il sindaco uscente Marta Vincenzi ha mal governato, alcuni membri della sua giunta sono stati indagati e ha mal gestito l’emergenza alluvione. Il Pd se n’è accorto e anziché dare per automatica la ricandidatura della Vincenzi ha provveduto a fare le primarie, ma gli è andata male e infatti entrambe le candidate del Pd (la Vincenzi stessa e la senatrice Roberta Pinotti) hanno perso contro l’indipendente Doria che era sostenuto da Sel.
In una situazione del genere il centrodestra avrebbe potuto avere vita facile se avesse presentato per tempo un solo candidato, appoggiato da tutte le forze moderate e invece il Pdl candida Pierluigi Vinai (sostenuto anche dalla Dc e da Città nuove Vinai sindaco, lista che si rifà al movimento della Polverini e da una lista civica), il terzo polo punta su Enrico Musso e la Lega Nord su Edoardo Rixi. Elisabetta De Martini, invece, corre per La Destra. Sarà interessante capire chi otterrà più voti tra il candidato del Pdl Vinai e il senatore Enrico Musso che cinque anni fa era lo sfidante della Vincenzi. Gli altri candidati sono: Paolo Putti (Movimento 5 stelle), Giuliana Sanguineti, Roberto Delogu, Sii Mohamed Kaabour, Simonetta Saveri, Orlando Portento, Giusppe Viscardi, Armando Siri.
PALERMO è sempre una piazza strana dove le naturali alleanze nazionali vengono sistematicamente snaturate. Il Pd si è incartato con le primarie e alla fine, suo malgrado, ha dovuto candidare il “presunto” vincitore, Fabrizio Ferrandelli che gode del supporto di tre liste civiche tra cui una che fa esplicito riferimento a Sel. L’ex sindaco Leoluca Orlando, che alle primarie ha appoggiato la candidatura di Rita Borsellino, ha trovato nei presunti brogli elettorali il pretesto per candidarsi per la quarta volta alla carica di sindaco del capoluogo siciliano. Stavolta è sostenuto dall’Idv, Rifondazione e Verdi. Il Fli, invece ha prima proposto Massimo Costa come candidato del terzo polo e poi gli ha tolto il suo appoggio quando il Pdl, spaesato dopo la disastrosa amministrazione di Diego Cammarata (che si è dovuto dimettere anztitempo lasciando un enorme buco di bilancio), ha deciso di sostenerlo, insieme a Grande Sud di Miccichè. A quel punto Fli, insieme all’Mpa del governatore Lombardo e all’Api di Rutelli, ha puntato su Alessandro Aricò. La peculiarità del Fli siciliano è infatti di aver deciso di non allearsi in nessun caso col Pdl anzi, metaforicamente parlando, se potesse, gli farebbe una vera e propria guerra a colpi di Granata… Per farsi ancora più male le forze moderate di orientamento di centrodestra vedono altri due candidati in lizza: Giuseppe Mauro per l’Adc e Marianna Caronia per Pid, Udeur e tre liste civiche. Il Movimento cinque stelle punta invece su Riccardo Nuti, mentre il Movimento dei forconi schiera Rosella Accardo. Gli altri candidati sono Marco Priulla (Partito comunista dei lavoratori), Tommaso Dragotto e Gioacchino Basile.
PARMA è un’altra città destinata a passare dal centrodestra al centrosinistra. Lo scandalo delle tangenti che ha colpito l’amministrazione dell’ex sindaco Vignali non potrà che produrre questo risultato. La città dal 1997 ad oggi è stata sempre governata dalle forze moderate di centrodestra prima con Elvio Ubaldi per due mandati e poi dal 2007 con Vignali. Ora Ubaldi, dopo aver aderito all’Api, si ripresenta alle urne col terzo polo. Il Pdl, invece, corre con Paolo Buzzi, la Lega con Andrea Zorandi e La Destra con Primo Bocchi. Ben quattro candidati moderati contro il sindaco in pectore, Vincenzo Bernazzoli, presidente della provincia, sostenuto dal Pd, dall’Idv, dalla Lista civica ed ecologista Parma che cambia con Vendola (Sel), dai Comunisti italiani, dall’Unione democratica consumatori pensionati e da due liste civiche. Alla sua sinistra corrono Roberta Roberti per Rifondazione comunista e Liliana Saggiari per il Partito comunista dei lavoratori. Il Movimento cinque stelle che in Emilia ha già ottenuto buoni risultati, schiera Federico Pizzarotti.
IL CASO GORIZIA
La particolarità di Gorizia è quella di essere l’unico capoluogo dove vige ancora un bipolarismo ferreo.
Il sindaco uscente di centrodestra Ettore Romoli è infatti sostenuto dal Popolo di Gorizia (Pdl), dalla Lega Nord, dalla Destra e dal Terzo polo (Udc e Fli), oltre che dai pensionati per Romoli e da una lista civica. Lo sfidante Giuseppe Cingolani si candida con una coalizione composta da Pd, Idv, Sel, Federazione della Sinistra (Prc+Pdci) e da tre liste civiche, mentre il Movimento cinque stelle presenta Manuela Botteghi. Fabrizio Manganelli, infine, è alla guida di una lista civica.
IL NORD
In Piemonte si vota ad Alessandria, ad Asti e a Cuneo. Nei primi due capoluoghi i sindaci uscenti di centrodestra Piercamillo Fabbio e Giorgio Galvagno si ripresentano ma stavolta senza il supporto dell’Udc e della Lega Nord che corre da sola in tutte e tre le città. Nemmeno il terzo polo però se la passa bene: ad Alessandria Udc e Fli candidano Giovanni Barosini, mentre l’Api schiera Onofrio Vignuolo. A Cuneo (comune con un’amministrazione uscente di centrosinistra) il Fli corre con Mario Castellino e l’Udc con Federico Borgna. Ad Asti l’Udc ripropone nuovamente la candidatura di Davide Arri. Ad Alessandria il centrosinistra, coalizzato secondo i canoni elettorali della foto di Vasto, appoggia Maria Rita Rossa ma si trova come ostacolo la candidatura indipendente dell’ex sindaco Mara Scagni che pochi mesi fa ha lasciato il Pd. Anche ad Asti il fulcro della coalizione di centrosinistra che sostiene Fabrizio Brignolo è composto da Pd, Idv e Sel ma la Federazione della Sinistra corre da sola con Giovanni Pensabene. Solo a Cuneo il candidato di centrosinistra Pierluigi Garelli non ha antagonisti alla sua sinistra ma il centrodestra, come abbiamo visto, è diviso rispetto a cinque anni fa ed è solo il Pdl ad appoggiare Marco Bertone. La Destra ad Asti appoggia il candidato del Pdl, mentre ad Alessandria corre da sola con Claudio Prigione.
In Lombardia si vota a Como e a Monza, entrambe amministrate dal centrodestra. A Como le primarie nel centrodestra hanno causato una spaccatura che ha prodotto, da un lato la candidatura di Laura Bordoli e dall’altro la corsa solitaria dell’ex assessore Sergio Gabbi con una lista dal nome molto evocativo: FORZA – Sergio Gaddi sindaco cambia – COMO. Corsa solitaria anche per Lega Nord e La Destra con Alberto Mascetti e Roberto Colussi. Anche il terzo polo è spaccato: l’Udc corre da sola con David D’Ambrosio, Fli e Movimento Autonomo per Como (Mpa), con due liste civiche, candidano Mario Pastore. Stessa cosa per il centrosinistra che si divide addirittura in tre: Mario Lucini si presenta con la coalizione-tipo composta da Pd, Idv e Sel, Elisabetta Patelli corre per i Verdi e Donato Supino per Sinistra per Como. Tra gli altri candidati da notare la partecipazione dell’ex calciatore Pietro Vierchowod. A Monza la spaccatura del centrodestra si ripete. Mentre cinque anni fa il sindaco uscente Marco Mariani era appoggiato da tutte le forze classiche che dal 1994 al 2006 avevano composto il centrodestra, ora si ricandida col solo supporto della Lega Nord e di una lista civica. Il Pdl e La Destra schierano infatti Andrea Mandelli. Un solo terzo polo, due partiti e due Anna candidate. Così si potrebbe sintetizzare la sorte dell’Udc e del Fli monzese che candidano rispettivamente Anna Martinelli e Anna Mancuso. Amedeo Santoro è invece il candidato sindaco per la Lega Lombardo veneta. La foto di Vasto produce i suoi effetti anche a Monza dove Roberto Scanagatti è il candidato di Pd, Idv, Sel, Fds e di due liste civiche. Alla sua sinistra il “verde” Attilio Tagliabue e per i grillini scende in campo Nicola Emanuela Fuggetta.
In Veneto, oltre che a Verona (di cui si è già scritto), si vota anche a Belluno dove il sindaco uscente Antonio Padre si ricandida col supporto del solo Pdl e di due liste civiche, mentre Lega Nord-Liga veneta, La Destra e l’Udc presentano ognuno un proprio candidato e nell’ordine si tratta di: Leonardo Colle, Francesco La Grua e Ida Bortoluzzi. Claudia Bettiol è la candidata di Pd, Idv e una lista civica. Riuscirà a battere il centrodestra o il candidato del Movimento cinque stelle Andrea Lanari le ruberà i voti necessari?
In Liguria, oltre alla già citata Genova, si vota a La Spezia, dove il sindaco uscente Massimo Federici si ricandida con una coalizione che non solo si rifà alla foto di Vasto (Pd, Idv e Sel) ma allarga i suoi orizzonti fino a comprendere Fds, Udc e due liste civiche. Il centrodestra è spaccato in 5: il Pdl punta su Fiammetta Chiarandini, la Lega Nord su Giancarlo Di Vizia e La Destra su Massimiliano Mammi, mentre Gaetano Russo corre per la Dc e per Città nuove (Polverini). Loriano Isolabella invece si candida con il sostegno di Spezia attiva-MPA e di due liste civiche. Tra i candidati minori troviamo: Iva Mirenda (Movimento cinque stelle), Mauro Di Spigna (No euro), Sandro Sanservero, Roberto Quber, Paolo Pazzaglia, Marco Tarabugi, Giulio Guerri e Fabio Cenerini.
In Emilia, oltre che a Parma, si vota anche a Piacenza dove il Pd si affida a Paolo Dosi, sostenuto anche dall’Idv e da due liste civiche. Anche qui, come a Como, si trova sia la sigla Pdl sia la dicitura Forza Piacenza, sigla usata da coloro che non si rassegnano alla fine dell’alleanza con la Lega Nord e hanno deciso di appoggiare il leghista Massimo Polledri. Il Pdl invece sostiene Andrea Paparo.. L’Udc schiera Pierpaolo Gallini e il Movimento cinque stelle Mirta Quagliaroli.
CENTRO
In Toscana la sfida più interessante è senza dubbio quella della democristiana Lucca, città governata dal centrodestra dal 1998. Il sindaco uscente Mauro Favilla, che si è dovuto dimettere a seguito di uno scandalo, si ripresenta col sostegno del Pdl e di quattro liste civiche. Il più volte sindaco democristiano Pietro Fazzi (78 anni) si ricandida con l’Udc, mentre la Lega sostiene Antonio Trapani. Il centrosinistra presenta Alessandro Tambellini, appoggiato da Pd, Idv, Sel, Fds e da una lista civica.
A Pistoia, invece, il centrosinistra avrà anche stavolta vita facile con la candidatura di Samuele Bertinelli sostenuto da Pd, Sel, Idv, Fds, Verdi e da tre liste civiche. Alla sua sinistra estrema Mario Capecchi corre per il Partito comunista dei lavoratori. Il Pdl schiera Anna Maria Ida Celesti, mentre la Lega Nord presenta Daniela Simonato. Alessio Bartolomei è il candidato del terzo polo. Il Movimento cinque stelle punta invece su Giacomo Del Bino.
Nel Lazio si vota a Rieti e a Frosinone. Interessante notare come le molte crepe del centrodestra reatino, che governa la città dall’inizio della Seconda Repubblica, favoriscano nettamente il candidato di sinistra Simone Pietrangeli. Il Pdl non ripropone il sindaco uscente Antonio Emili (che però si ricandida con La Destra e il Grande Sud di Miccichè) ma si affida ad Antonio Perelli che può godere anche del sostegno di Fiamma Tricolore, Destra sociale, Pri e Città nuove. Il terzo polo è diviso in due tronconi: Silvio Gherardi (Udc, Adc e altri) e Dominco Marieri per l’Mpa, mentre l’Api sostiene Pietrangeli.
A Frosinone invece la spaccatura più evidente è tra la sinistra moderata e la sinistra estrema. Il sindaco uscente del Pd Michele Marini, infatti, è alleato con l’Udc, il terzo polo e i cattolici di Mario Baccini. Alla sua sinistra altri due candidati: Domenico Marzi per l’Idv e Marina Kovari per Rifondazione comunista e Sel. Lo sfidante di centrodestra è Nicola Ottaviani che può contare sul sostegno del Pdl, di Città nuove con te, dell’Udeur e di sei liste civiche. Alla sua destra troviamo Sergio Arduini per Fiamma Frusino – Destra sociale per Frosinone. Il Movimento cinque stelle invece punta su Enrica Segneri.
In Abruzzo si vota solo a L’Aquila dove il sindaco uscente Massimo Cialente si ripresenta alle urne con Pd, Api, Fds, Sel e con due liste civiche. Alla sua sinistra si posiziona il candidato dell’Italia dei Valori e di una lista civica Angelo Mancini. Lo sfidante di centrodestra è Pierluigi Properzi che può contare sul sopporto del Pdl e di una lista civica. Il terzo polo è spaccato: Giorgio De Matteis corre per l’Mpa Abruzzo, l’Udc, l’Udeur e quattro liste civiche, mentre il Fli corre da solo con Enrico Verini. Rosetta Enza Blundo è la candidata del Movimento cinque stelle. Ovviamente qui è data per scontata la rielezione di Cialente.
In Molise si vota solo ad Isernia, dove l’amministrazione uscente è di centrodestra. Qui le spaccature sonio minori rispetto agli altri centri perché ad esclusione del Fli che presenta la candidatura di Raffaele Mauro, il centrodestra schiera Rosa Iorio che guida un’ampia coalizione composta da: Pdl, Udc, Adc, Pensionati, Grande Sud, Udeur e da due liste civiche. Il centrosinistra ha come candidato unico Ugo De Vivo e anche in questo caso si ripete lo schema di Vasto.
SUD
In Puglia si vota a Brindisi, Lecce, Taranto e Trani. Brindisi torna al voto dopo le dimissioni dell’ex sindaco Domenico Mennitti che ha lasciato la politica per motivi di salute. Qui il centrodestra riesce a presentare un solo candidato, appoggiato anche da Fli e Mpa. Trattasi di Mauro D’Attis, mentre l’Udc sostiene il candidato di Pdl, Verdi, Api e Pri. Sel, Idv e Fds, invece candidano Giovanni Brigante.
A Lecce il favorito sembra essere il sindaco uscente Paolo Perrone che si ricandida con Pdl, Io Sud-Grande Sud, Fli e altre cinque liste civiche. L’Udc invece punta su Luigi Melica. Il centrosinistra schiera Loredana Capone che guida un’alleanza composta da Pd, Idv, Psi e da quattro liste civiche. Alla sua sinistra Andrea Valerini si presenta per Alternativa comunista.
Taranto è l’unico dei tre comuni con un sindaco uscente di centrosinistra. Trattasi di Stefano Ippazio, eletto cinque anni fa con Rifondazione comunista e ora iscritto a Sel. A differenza del 2007, ora Ippazio può contare sull’appoggio anche delle forze riformiste (Pd, Idv) ma anche di quelle cattoliche quali Udc, Api e Udeur. I Verdi invece schierano il leader nazionale Angelo Bonelli, mentre la Fds punta su Dante Capriulo. Il Pdl, insieme a una lista civica vicina al Fli, punta su Filippo Condemi che molto probabilmente sarà penalizzato dalla candidatura di Mario Cito sostenuto da La Destra, Fiamma Tricolore e quattro liste civiche. Io Sud corre da sola con Massimiliano Di Cuia. Ultimo frammento della galassia del centrodestra tarantino è Felicia Brittito, la candidata del Movimento politico Schittulli che fa riferimento all’attuale presidente di centrodestra della provincia di Bari.
Trani, governata dal centrodestra dal 2003, vede la presenza di due candidati di sinistra e di un candidato unico per il centrodestra, Luigi Nicola Riserbato. La particolarità di Trani è che 2/3 (Udc e Fli) del polo centrista appoggiano il candidato di centrosinistra Ugo Operamolla, mentre l’Api e l’Fds puntano su Fabrizio Ferrante.
In Calabria si ritorna al voto, dopo due anni, solo a Catanzaro dove il sindaco di centrodestra Michele Traversa si è dovuto dimetter per incompatibilità con la carica di deputato nazionale. Al suo posto il Pdl ricandida l’ex sindaco Sergio Abramo che guida una coalizione che include Adc, Api, Udeur, Pri e Nuovo Psi. L’Udc, il Fli e l’Mpa candidano Giuseppe Celi, mentre il centrosinistra schiera Salvatore Scalzo, appoggiato da: Pd, Idv, Sel, Fds, Psi.
ISOLE
In Sicilia, oltre che a Palermo, si vota anche ad Agrigento e a Trapani. Ad Agrigento il poliedrico Michele Zambuto, dopo essere uscito dall’Udc e dopo essere stato eletto cinque anni fa col centrosinistra, non pago di aver preso la tessera del Pdl, ora ritorna nell’Udc e si ricandida a sindaco della città. Il Fli e l’Mpa di Lombardo si schierano con la candidata del Pd Maria Lo Bello. Il centrodestra schiera invece Salvatore Pennica. A Trapani, città governata dal 1998 dal centrodestra, in quattro si giocano la poltrona di sindaco. Il Pdl schiera Vito Damiano, mentre stavolta il Grande Sud di Miccichè si allea col terzo polo per appoggiare Giuseppe Maurici. Il centrosinistra da un lato schiera Sabrina Rocca, appoggiata da Pd e Sel. L’ Idv e Fds schierano Giuseppe Caradonna, mentre Vincenzo Maurizio Marrone D’Alberti guida i Verdi.
In Sardegna invece si vota per 10 referendum di cui 5 abrogativi e 5 consultivi riguardanti: l’abolizione delle province, l’elezione di un’assemblea costituente per riformare lo statuto, l’elezione diretta del presidente della Regione e la riduzione del numero dei consiglieri regionali.

sabato 5 maggio 2012

Amministrative 2012: dove si vota

di Francesco Curridori tratto da: http://www.t-mag.it/2012/05/04/amministrative-2012-dove-si-vota/


 Il 6 e 7 maggio più di sette milioni di italiani saranno chiamati alle urne per eleggere il sindaco in oltre 700 comuni di cui 22 capoluoghi di provincia e quattro di regione: Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo.




NORD

A GORIZIA il sindaco uscente Ettore Romoli è sostenuto dal Popolo di Gorizia (Pdl nda), dalla Lega Nord, dalla Destra, dall’Unione di centro (Udc), da Futuro e libertà per l’Italia (Fli), dai Pensionati per Romoli e da una lista civica. Giuseppe Cingolani è il candidato della coalizione di centrosinistra composta dal Partito democratico (Pd), dall’Italia dei valori (Idv), da Sinistra ecologia e libertà (Sel), dalla Federazione della Sinistra (Prc+Pdci) e da tre liste civiche, mentre il Movimento cinque stelle presenta Manuela Botteghi. Fabrizio Manganelli, infine, è alla guida di una lista civica.

Ad ALESSANDRIA a correre per la carica di sindaco ci sono bene 15 candidati. Il sindaco uscente Piercamillo Fabbio si ripresenta con l’appoggio del Popolo delle libertà (Pdl), del Nuovo Partito Socialista Italiano (Psi), della lista Pensionati Fabbio e di 4 liste civiche. Il suo principale sfidante è il candidato del centrosinistra Maria Rita Rossa che guida una coalizione a cui appartengono: Pd, Idv, Sel, Fds (Prc+Pdci) e due liste civiche. La Lega Nord appoggia Roberto Sarti, mentre La Destra, insieme a una lista civica, si affida a Claudio Prigione. Giovanni Barosini è il candidato di una parte del Terzo Polo (Udc, Unione democratica per consumatori pensionati, Alessandria Libera (Fli) e tre liste civiche). L’Api, infatti, insieme a due liste civiche, presenta OnofrioVignuolo come suo candidato. Per il Movimento cinque stelle si presenta Angelo Malerba, per Forza Nuova Graziano Canestri, mentre l’estrema sinistra sostiene Renato Kovacic candidato con la lista Partito comunista per Kovacic. Tra i candidati minori troviamo: Dario Mario Foresto, Luisella Giovanna Daziano, Giovanni Rattazzo, Mauro Morando e l’ex sindaco di centrosinistra Mara Scagni.

Ad ASTI il sindaco uscente Giorgio Galvagno è sostenuto dal Pdl, da La Destra e da due liste civiche. A sfidarlo per il centrosinistra è Fabrizio Brignolo che può contare sul sostegno del Pd, dell’Idv, di Sel e di tre liste civiche, mentre Rifondazione comunista – Comunisti italiani e due liste civiche presentano Giovanni Pensabene. Pier Franco Verrua corre con la Lega Nord e una lista civica, mentre per l’Udc e il Movimento cinque stelle si presentano rispettivamente Davide Arri e Gabriele Zangirolami. Mariangela Cotto e Diego Rinaldo Zavattaro sono i candidati delle liste civiche.

A CUNEO il candidato del centrosinistra è Pierluigi Garelli che si presenta con Pd, Idv, Sel, Psi e con quattro liste civiche. A lui il Pdl oppone Marco Bertone, mentre la Lega Nord, insieme a una lista civica si affida a Claudio Sacchetto. Il terzo polo si presenta spaccato: il Fli infatti corre da solo con Mario Castellino, mentre Federico Borgna è il candidato dell’Udc e di quattro liste civiche.

A COMO Mario Lucini si presenta alla guida di una coalizione con Pd, Idv, Paco-Sel e 2 liste civiche. Alla sua sinistra si candidano Elisabetta Patelli per gli Ecologisti reti civiche (Verdi) e Donato Supino per Sinistra per Como. Il Pdl schiera Laura Bordoli, mentre per la Lega Nord e per La Destra si presentano rispettivamente Alberto Mascetti e Roberto Colussi. Il terzo polo si spacca: l’Udc corre da sola con David D’Ambrosio, Fli Movimento Autonomo per Como (Mpa), con due liste civiche, candidano Mario Pastore. Tra gli altri candidati: Mario Molteni, l’ex calciatore Pietro Vierchowod, Francesco Peronese, Emanuele Lionetti, Sergio Gaddi, Alessandro Rapinese.

A MONZA il sindaco uscente Marco Mariani si ricandida appoggiato dalla Lega Nord e da una lista civica. Pdl e La Destra presentano Andrea Mandelli, mentre Anna Martinelli è la candidata dell’Udc. Il Fli, con una lista dal nome “insieme per Monza futura” corre con Anna Mancuso. Amedeo Santoro è il candidato sindaco per la Lega Lombardo veneta. Roberto Scanagatti si candida col supporto di Pd, Idv, Sel, Fds e due liste civiche. Alla sua sinistra il candidato dei Verdi Attilio Tagliabue, mentre per i grillini scende in campo Nicola Emanuela Fuggetta. Gli altri candidati sono: Paolo Piffer, Francesco Maurizio Brioschi, Vincenzo Ascrizzi.

A BELLUNO il sindaco uscente Antonio Padre si ripresenta appoggiato dal Pdl e da due liste civiche. Leonardo Colle e Francesco La Grua sono i candidati di Lega Nord-Liga veneta e La Destra, mentre per l’Udc corre Ida Bortoluzzi. Pd e Idv, insieme a una lista civica, candidano Claudia Bettiol, mentre il Movimento 5 stelle puntano su Andrea Lanari. Tra gli altri candidati vi sono: Carlo Gustavo Giuliana e l’autonomista Massimo Vidori.

A GENOVA a concorrere alla carica di primo cittadino per il centrosinistra è Marco Doria, sostenuto da: Pd, Idv,Sel,Fds, Psi, dall’Unione dei Consumatori e da due liste civiche. Alla sua sinistra si candidano Giuliana Sanguimeti e Roberto Delogu rispettivamente per il Partito comunista dei lavoratori e per il partito comunista. Il candidato del centrodestra è Pierluigi Vinai, appoggiato dal Pdl, dalla Dc, da Città nuove Vinai sindaco (che si rifà al movimento della Polverini nda) e da una lista civica. Elisabetta De Martini corre per La Destra, mentre la Lega Nord, insieme a una lista civica, sostiene Edoardo Rixi. Il Terzo polo punta su Enrico Musso e il Movimento cinque stelle su Paolo Putti. Gli altri candidati sono: Sii Mohamed Kaabour, Simonetta Saveri, Orlando Portento, GiusppeViscardi, Armando Siri.

A LA SPEZIA il sindaco uscente Massimo Federici si ricandida con l’appoggio di Pd, Idv, Sel, Fds, Udc e di due liste civiche. Fiammetta Chiarandini è la candidata del Pdl e di due liste civiche. Giancarlo Di Vizia si presenta con la Lega Nord, mentre Massimiliano Mammi è il capofila de La Destra. Gaetano Russo corre per la Dc e per Città nuove (Polverini nda). Loriano Isolabella si candida con il sostegno di Spezia attiva-MPA e di due liste civiche. Il Movimento cinque stelle punta su Ivan Mirenda e la lista No euro su Mauro Di Spigna. I candidati minori sono: Sandro Sanservero, Roberto Quber, Paolo Pazzaglia, Marco Tarabugi, Giulio Guerri e Fabio Cenerini.

A VERONA il sindaco uscente Flavio Tosi si ripresenta con Liga Veneta-Lega Nord, Pensionati con Tosi e con altre cinque liste civiche. Luigi Castelletti invece è appoggiato da: Pdl, Udc, Fli, Nuovo Psi e da una lista civica. Il centrosinistra punta su Michele Bertucco col sostegno di Pd, Idv, Sel, Fds e due liste civiche. Alla sua sinistra la candidata del Partito di alternativa comunista Barry Ibrahima. Gianni Benciolini corre per il Movimento cinque stelle, mentre Luca Castellini per Forza Nuova e una lista civica. Patrizia Badii è la candidata del PANTO, il Partito Nasional Veneto.

A PARMA Vincenzo Bernazzoli è il candidato proposto dal Pd, dall’Idv, dalla Lista civica ed ecologista Parma che cambia con Vendola (Sel), dai Comunisti italiani, dall’Unione democratica consumatori pensionati e da due liste civiche. Rifondazione comunista e una lista civica appoggiano Roberta Roberti, mentre il Partito comunista dei lavoratori sostiene Liliana Saggiari. Per il centrodestra corre Paolo Buzzi, sostenuto dal Pdl e da una lista civica. La Lega Nord si presenta con Andrea Zorandi, mentre La Destra corre con Primo Bocchi. L’ex sindaco Elvio Ubaldi è il candidato dell’Udc e di due liste civiche. Il Movimento 5 stelle corre con Federico Pizzarotti. Gli altri candidati sono: Roberto Ghiretti e Wallì Bonvicini.

A PIACENZA il Pd si affida a Paolo Dosi, sostenuto anche dall’Idv e da due liste civiche. Andrea Paparo è il candidato del Pdl e di due liste civiche, mentre Massimo Polledri corre per la Lega Nord, la lista Forza Piacenza insieme e Pensionati emiliani. L’Udc schiera Pierpaolo Gallini e il Movimento cinque stelle Mirta Quagliaroli. Gli altri candidati sono Pierluigi Tassini e Pier Angelo Solenghi.

CENTRO

A LUCCA, dopo un periodo di commissariamento straordinario, il centrodestra ricandida Mauro Favilla col sostegno del Pdl e di quattro liste civiche. La Lega Nord corre con Antonio Trapani e l’Udc, insieme a una lista civica, l’ex sindaco Pietro Fazzi. Il centrosinistra presenta Alessandro Tambellini, sostenuto da Pd, Idv, Sel, Fds e una lista civica. Tra gli altri candidati: Maurizio Dinelli, Luca Leone, Andrea Colombini, Gemma Urbani, Giuliano Alvaro Giorgio Marchetti, Piero Angelini.

A PISTOIA il centrosinistra si presenta con Samuele Bertinelli sostenuto da Pd, Sel, Idv, Fds, Verdi per la pace – Arcobaleno su Pistoia e tre liste civiche. All’estrema sinistra Mario Capecchi corre per il Partito comunista dei lavoratori. Il Pdl schiera Anna Maria Ida Celesti, mentre la Lega Nord, insieme a una lista civica, presenta Daniela Simonato. Alessio Bartolomei corre Per il terzo polo – Fli e Udc. Il Movimento cinque stelle punta invece su Giacomo Del Bino. Tra gli altri candidati: Paolo Bonacchieed Enrico Guastini.

A FROSINONE il sindaco uscente Michele Marini si ricandida con l’appoggio di: Pd, Terzo polo, Udc, Federazione dei cristiano popolari e una lista civica. Alla sua sinistra si posizionano Domenico Marzi, a guida di una coalizione composta dall’Idv, dal Psi e da una lista civica, mentre Marina Kovari è la candidata di Rifondazione comunista, Sel e una lista civica. Il centrodestra schiera Nicola Ottaviani che può contare sul sostegno del Pdl, di Città nuove con te (il movimento della Polverini nda), dell’Udeur popolari- tre spighe e di sei liste civiche. Alla sua destra Sergio Arduini per Fiamma Frusino – Destra sociale per Frosinone. Il Movimento cinque stelle schiera Enrica Segneri. Gli altri candidati sono: Giuseppina Bonaviri e Alfredo Scaccia.

A RIETI il sindaco uscente Antonio Emili si ricandida con l’appoggio de La Destra e del Grande Sud (movimento di Gianfranco Miccichè nda). Il centrodestra schiera invece Antonio Perelli, sostenuto da: Pdl, Fiamma Tricolore, Destra sociale, Città nuove, Pri con civica. Silvio Gherardi è il candidato del terzo polo ed è sostenuto dall’Udc, dall’Adc e da due liste civiche, mentre l’Mpa, insieme a una lista civica punta su Domenico Marieri. Il centrosinistra sostiene Simone Pietrangeli che guida una coalizione composta da: Pd, Idv, Sel, Api, Rifondazione comunista, Psi e da una lista civica. I candidati minori sono: Alessio Angelucci e Paolo Rita Nives Cuzzocrea.

A L’AQUILA il sindaco uscente Massimo Cialente si ripresenta alle urne con Pd, Api, Fds, Sel e con due liste civiche. Alla sua sinistra il candidato dell’Italia dei Valori e di una lista civica Angelo Mancini. Lo sfidante di centrodestra è Pierluigi Properzi che può contare sul sopporto del Pdl e di una lista civica. Per il terzo polo corre Giorgio De Matteis sostenuto da Mpa Abruzzo, Udc, Udeur e da quattro liste civiche. Il Fli corre da solo con Enrico Verini, mentre Rosetta Enza Blundo è la candidata del Movimento cinque stelle. Per le liste civiche si presentano Vincenzo Vittorini ed Ettore Di Cesare.

Ad ISERNIA Ugo De Vivo si candida con Pd, Idv, Sel, Fds, Psi e con una lista civica. Il centrodestra invece presenta Rosa Iorio che guida una coalizione composta da: Pdl, Udc, Adc, Pensionati, Grande Sud, Udeur e da due liste civiche. Il Fli, insieme a una lista civica presenta Raffaele Mauro. Tra gli altri candidati: Ennio Mazzocco, Giuseppe Laurelli, Giovanni Muccio e Giovanni D’Uva.

SUD

A BRINDISI il centrosinistra propone Mimmo Consales sostenuto da Pd, Verdi, Udc, Api, Pri e da tre liste civiche. Alla sua sinistra si presentano Giovanni Brigante con La Puglia per Vendola (Sel nda) e due liste civiche e Roberto Fusco con Idv, Fds e una lista civica. Mauro D’Attis è il candidato del centrodestra appoggiato da: Pdl, Noi Dc Pionati per D’Attis, Fli, Regione Salento MPA Schittulli e da tre liste civiche. Riccardo Rossi corre invece con una lista civica.

A LECCE il sindaco uscente Paolo Perrone si ricandida con Pdl, Io Sud-Grande Sud, Futuro e Libertà per Lecce (Fli) e con cinque liste civiche. Il centrosinistra schiera Loredana Capone che guida un’alleanza composta da: Pd, Idv, Psi e da quattro liste civiche. Alla sua sinistra Andrea Valerini si presenta per Alternativa comunista L’Udc, insieme a una lista civica, punta su Luigi Melica. Per Il Movimento cinque stelle corre Maurizio Buccarella. Antonio Capone è invece alla guida di una lista civica.

A TARANTO il sindaco uscente Stefano Ipazio si ricandida col supporto di: Pd, Idv, Sel, Udc, Api, Udeur, Movimento la Puglia per Vendola-Psi e di due liste civiche. Alla sua sinistra si presenta Dante Capriulo sostenuto da Rifondazione comunista e da due liste civiche, mentre Angelo Bonelli, leader nazionale dei Verdi, è appoggiato da cinque liste civiche. Il Pdl, insieme a una lista civica vicina al Fli, punta su Filippo Condemi. Alla sua destra l’ex sindaco Mario Cito che gode del sostegno de La Destra, Fiamma Tricolore e di quattro liste civiche. Io Sud corre da sola co Massimiliano Di Cuia. Felicia Brittito è la candidata del Movimento politico Schittulli (presidente di centrodestra della provincia di Bari nda). Alessandro Furnari guida il Movimento cinque stelle. I candidati delle liste civiche sono: Luigi Albesinni, Cosimo Festinante e Patrizio Mazza.

A TRANI Ugo Operamolla è il candidato di: Pd, Idv, Sel, Verdi, Udc, Fli e di due liste civiche. Alla sua sinistra si presenta Fabrizio Ferrante sostenuto da: Fds, Api, Pri e da due liste civiche. Luigi Nicola Riserbato corre per la carica di sindaco per: il Pdl, l’Adc, Forza Trani, il Movimento Schittulli, i Cristiano Riformisti e tre liste civiche. Domenico Triminì si presenta con la Democrazia cristiana, mentre Paolo Nugnes con il Movimento cinque stelle. Domenico Briguglio è alla guida di una lista civica.

A CATANZARO il centrosinistra candida Salvatore Scalzo, appoggiato da: Pd, Idv, Sel, Fds, Psi e da due liste civiche. Alla sua sinistra Antonio Carpino per il Partito comunista dei lavoratori. Sergio Abramo, candidato del centrodestra, guida una coalizione composta da: Pdl, Adc, Api, Alleati per Catanzaro-Pri, Udeur, Nuovo Psi e da quattro liste civiche. Giuseppe Celi è il candidato del terzo poloche si presenta compatto: Udc, Fli con lista civica, Mpa con lista civica e altre due liste civiche. Elio Mauro guida una lista civica.

ISOLE

Ad AGRIGENTO il sindaco uscente Marco Zambuto si ripresenta appoggiato dall’Udc e da una lista civica. Il candidato di centrosinistra invece è Maria Lo Bello che può contare sul supporto di: Pd, Fli, Api, Mpa –alleati per il Sud e una lista civica. Il centrodestra punta su Salvatore Pennica che gode del sostegno del Pdl, di Grande Sud Miccichè e di due liste civiche. Gli altri candidati sono: Giampiero Carta e Giuseppe Arnone.

A PALERMO Fabrizio Ferrandelli è il candidato di una buona parte del centrosinistra: Pd, Palermo per Ferrandelli con Vendola (Sel) e due liste civiche. L’ex sindaco Leoluca Orlando invece è sostenuto da: Idv, La sinistra e gli ecologisti per Palermo-Prc e i Verdi. Ancora più a sinistra si trova Marco Priulla, candidato del Partito comunista dei lavoratori. Massimo Costa, candidato del centrodestra, è appoggiato da: Pdl, Grande Sud, Udc e da una lista civica. Alessandro Aricò è invece il candidato di: Fli, Mpa, Api e di tre liste civiche. L’Adc corre da sola con Giuseppe Mauro, mentre Marianna Caronia guida una coalizione di cui fanno parte l’Udeur e tre liste civiche. Il Movimento cinque stelle punta su Riccardo Nuti, mentre il Movimento dei forconi schiera Rosella Accardo. Gli altri candidati sono: Tommaso Dragotto e Gioacchino Basile.

A TRAPANI il centrosinistra schiera Sabrina Rocca, appoggiata da Pd e Sabrina Rocca per Trapani Democratica con Vendola (Sel). Per Idv e Fds corre Giuseppe Caradonna, mentre Vincenzo Maurizio Marrone D’Alberti guida i Verdi. Il candidato del centrodestra è Vito Damiano, appoggiato dal Pdl e da una lista civica. Per il terzo polo Giuseppe Maurici è a capo di un’alleanza con Udc, Fli, Mpa, Grande Sud e tre liste civiche. Stefano Nola e Luigi Fasoni sono gli altri candidati minori.

In SARDEGNA invece si vota per 10 referendum di cui 5 abrogativi e 5 consultivi riguardanti: l’abolizione delle quattro province istituite nel 2001 (Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell’Ogliastra e di Olbia-Tempio) e delle altre quattro province storiche (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano); l’elezione di un’assemblea costituente per riformare lo statuto; l’elezione diretta del presidente della Regione; la riduzione del numero dei consiglieri; l’abolizione dei cda degli enti e delle agenzie regionali.

martedì 24 aprile 2012

Un film già visto

Leader carismatici che si fanno da parte, partiti tradizionali che vengono travolti dagli scandali, nuovi movimenti che si affacciano sul panorama politico in nome dell’antipolitica e contro la partitocrazia. No, non si tratta di una rievocazione storica delle vicende legate alla Tangentopoli del 1992. I protagonisti non sono Bettino Craxi, Giulio Andreotti o Arnoldo Forlani. Vent’anni dopo i protagonisti sono cambiati ma la storia è la stessa, così come prevede la norma gattopardesca del “tutto cambia perché non cambi nulla”. Finora a uscire di scena, per il momento, sono stati Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, ma il copione del film non è cambiato. Al posto di Severino Citaristi e di Vincenzo Balzamo, rispettivamente tesoriere della Democrazia cristiana e del Psi, ora sono indagati Luigi Lusi e Francesco Belsito per la Margherita e per la Lega.
A decretare la fine della Prima repubblica però non furono soltanto le inchieste giudiziarie, ma anche le sollecitazioni provenienti da fuori il Palazzo. La società civile tramutò la sua indignazione in partecipazione al voto nei quesiti referendari proposti dai pattisti di Mario Segni e dai radicali. L’introduzione forzata del sistema bipolare e i due governi tecnici di Giuliano Amato e Carzo Azeglio Ciampi segnarono una cesura tra la fine del pentapartito e il nuovo corso berlusconiano.
Ma questo è solo un’analogia molto secondaria rispetto alle altre che invece sembrano far pensare a un déjà vu. Prima tra tutte il riaffiorare di movimenti che cavalcano l’antipolitica. Sarebbe troppo scontato paragonare il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo alla Lega Nord degli esordi politici di Umberto Bossi. Tutta la sinistra, Bersani, D’Alema e Vendola in primis, si è schierata in questo senso per screditare i grillini e cercare di fermarne l’avanzata.
Per spiegare il fenomeno del “grillismo” i giornalisti, gli opinion leader e i politologi hanno riempito quintali di pagine senza giungere mai a una sua definizione reale e completa. Ciò è avvenuto per la scarsa conoscenza della Rete che, in realtà, altri non è che un luogo di incontro, un territorio. A conti fatti per i grillini la Rete non è altro che ciò che per i leghisti è la Padania, un territorio inevitabilmente molto più piccolo del web ma al tempo stesso con contorni geografici difficilmente delineabili.
La Rete non è un luogo fisico così come la Padania non è uno Stato né una nazione. Il popolo della Rete è talmente vasto ed eterogeneo che non è identificabile solo con i grillini o con il popolo viola così come la Lega non ha un popolo padano di riferimento. Per quanto la Lega possa essere (stata) forte non ha mai ottenuto più del 30-40% al Nord e ciò significa che un buon 70% di “nordisti” non si considera appartenente al “popolo padano”. In sintesi non tutti coloro che navigano su internet sono “grillini” e anche coloro che visitano il blog del comico genovese non è detto che tutti al 100% approvino quello che leggono, così come solo una minoranza di italiani (che generalmente va dal 5 al 10%) si considera padano.
Sebbene entrambi i movimenti devono la loro fortuna per lo più al voto d’opinione, esistono delle differenze per quanto riguarda  il blocco sociale di riferimento: i giovani internauti e gli intellettuali guardano con favore a Grillo, mentre gli agricoltori padani e i cummenda del Nord produttivo votano Lega. Ciò a cui siamo assistendo in questo momento è proprio un film già visto. La classe politica tradizionale considera Beppe Grillo un volgare populista così come avveniva nei primi anni ’90 con Bossi. Entrambi invece hanno saputo porre sull’agenda setting della politica delle issues completamente nuove rispetto al passato. Mi riferisco al federalismo di marchio leghista e all’attenzione che i grillini pongono sulle nuove tecnologie e sulle energie rinnovabili.
Questa è la prima parte del film con Grillo protagonista. Bisognerà aspettare ancora qualche anno per vedere se il finale del fim sarà lo stesso di Bossi e cerchisti magici, mentre basterà attendere qualche giorno o settimana per sentire paragonare Beppe Grillo a Marine Le Pen.
Oltre al déjà vu vecchio di vent’anni sulla fine dei partiti tradizionali e sull’antipolitica, ce n’è un terzo molto più recente che vede come attori protagonisti Casini e Alfano. Il primo ha annunciato unilateralmente la fine dell’Udc e la nascita del Partito della Nazione proprio come fece Berlusconi cinque anni fa, e proprio come nel 2007 Fini e i suoi sono rimasti spiazzati dall’iniziativa e stanno sommessamente esprimendo i loro distinguo. Alcuni futuristi pensano sia meglio una federazione.
Ora sono passati cinque anni e Alfano non ha il carisma di Berlusconi per salire sul predellino di una macchina e fare annunci roboanti, ma di fatto ha già chiuso il Pdl proprio come avvenne con Forza Italia quando nacque il Pd. Cambiano gli attori ma il copione è identico.

Francesco Curridori tratto da: 
http://www.thefrontpage.it/2012/04/24/un-film-gia-visto/

lunedì 23 aprile 2012

La ricetta? “Ridurre la pressione fiscale”

Intervista a Nicola Rossi, presidente dell'Istituto Bruno Leoni

di Francesco Curridori tratto da: http://www.t-mag.it/2012/04/23/la-ricetta-ridurre-la-pressione-fiscale/



Tasse, disoccupazione e debito pubblico. I dati sull’andamento dell’economia italiana delineano un quadro sempre più preoccupante. Se da un lato è vero che lo spread è sceso di oltre 170 punti rispetto a un paio di mesi fa e ora oscilla attorno ai 400 punti, dall’altro lato la disoccupazione è al 9,3% e sale al 32% se si considera soltanto quella giovanile.
L’Istat ha inoltre calcolato che gli inattivi nel 2011 sono stati circa 3 milioni e l’Osservatorio della Cgil indica un +21% di ore di cassa integrazione dall’inizio dell’anno. A frenare la crescita incide soprattutto l’elevata pressione fiscale, arrivata ormai al 45%. Come spiega Nicola Rossi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, “aver puntato praticamente tutto sul versante delle entrate ha permesso al governo di superare un momento molto difficile per il bilancio pubblico però ha impedito ogni possibilità di crescita immediata e futura”.
Ad aggravare la situazione è anche il crescente numero di suicidi. Secondo l’Eurispes tra il 2010 e il 2011 ben 14mila persone si sono tolte la vita e “ciò che di nuovo si presenta in maniera preponderante per quanto riguarda la situazione italiana sul tasso di suicidi – si legge nel rapporto Eurispes – è la sua relazione con la condizione economica definita all’interno di una crisi generale del sistema produttivo, intrecciandosi a sua volta in modo sistematico anche con gli alti tassi di disoccupazione nel Paese”. Dall’inizio dell’anno ad oggi, invece sono ben 24 gli imprenditori che non hanno retto alla crisi e si sono tolti la vita, ma questo fenomeno non è da addebitarsi esclusivamente all’aumento delle tasse a cui le imprese sono soggette. “I suicidi – spiega Nicola Rossi – dipendono anche dall’atteggiamento che il sistema bancario ha assunto e dalla difficoltà che la burocrazia frappone all’imprenditore. In un momento difficile come questo non c’è nulla che aiuti lo sforzo dell’impresa. I concorrenti fanno i concorrenti, i clienti pensano di poter ritardare all’infinito i pagamenti, i fornitori pensano di poter essere pagati immediatamente, la burocrazia, le banche e il fisco interpretano in maniera molto rigida il loro mestiere e quindi l’imprenditore è solo e da solo fa una battaglia che è di tutti”.
Secondo Rossi se si vuole rilanciare la crescita e abbattere il debito pubblico, che al momento ammonta 1,935 miliardi di euro, occorre perciò ridurre le tasse: “Quello che bisognerebbe fare non è attuare nuovi sgravi, ma servirebbe una riduzione generalizzata della pressione fiscale, possibilmente in più direzioni attraverso tagli e dismissioni degli asset pubblici, ma qui entra in gioco la cultura di governo che non sembra favorevole a misure di questo tipo”.
Un’operazione di questo tipo non risolverebbe definitivamente il problema del debito ma “anche se si trattasse di 100-200 miliardi di euro, cifre paragonabili alle dismissioni di vent’anni fa – afferma il senatore ex Pd -, porterebbero un vantaggio cospicuo al bilancio dello Stato perché con i tassi di interesse correnti si risparmierebbe non poco dal punto di vista dell’onere del servizio del debito”.
E la riforma dell’articolo 18 può aiutare le imprese a creare maggiore occupazione? “L’imprenditore vive di certezze – conclude Rossi – e questa riforma non offre certezze di nessun tipo perché l’area continua a rimanere legata all’intervento del giudice. Lo stesso vale per i giovani che al momento nemmeno loro hanno certezze e a volte mi chiedo come sia stato possibile arrivare a una soluzione come questa. La riforma Ichino è invece una proposta sostenuta anche da posizioni liberali”.

venerdì 20 aprile 2012

Donne, case e triumviri

 

Prima Fini, poi Berlusconi e infine Bossi. Il centrodestra così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni non esiste più. Donne, case e triumviri hanno decretato il declino dei leader. Il presidente della Camera è l’unico ancora alla guida di un partito, anche se formalmente è Italo Bocchino che parla a nome di Fli. La parabola politica di Fini è però iniziata a causa di un triumvirato. Come ci si può dimenticare della conversazione rubata dal Tempo tra Gasparri, La Russa e Matteoli? Era il lontano 2005 e i colonnelli già demolivano la figura del leader carismatico che aveva traghettato la destra dalla conventio ad excludendum al governo. Era l’inizio della fine. Poi nel 2007 arrivò Elisabetta Tulliani, nel 2008 il Pdl e la terza vittoria alle Politiche, nel 2010 si consuma la rottura con Berlusconi e di lì a poco lo scandalo della casa di Montecarlo. Donne, case e triumviri appunto.
Dei problemi giudiziari di Silvio Berlusconi si sa tutto e forse si è saputo anche troppo e infatti la sua uscita di scena è stata determinata da scandali pseudo-sessuali e su cui la magistratura deve ancora ben individuare quali sono le responsabilità del Cavaliere. Il berlusconismo è finito definitivamente a puttane mentre i guai per il Pdl sono dovuti a una cattiva gestione da parte dei triumviri che fino a poco tempo fa ne guidavano le redini: Sandro Bondi, Denis Verdini e Ignazio La Russa. Il primo è caduto in disgrazia per la cattiva gestione del dicastero che gli era stato affidato (Pompei docet), il secondo deve le sue sventure alle indagini sulla P3, mentre l’ex aennino La Russa è stato da sempre poco accettato dalla maggioranza forzista del partito. Ora il futuro del Pdl dipende tutto dal segretario Angelino Alfano.
Ieri è toccato a Umberto Bossi lasciare la leadership del suo partito, dopo essere stato travolto anche lui da un’indagine giudiziaria che coinvolge direttamente “the family” Bossi. Dopo la malattia che lo ha colpito nel 2004 il senatùr non era più lo stesso e il cerchio magico che gli stava attorno ne ha approfittato. Con la complicità del tesoriere Belsito la moglie e la fedele Rosy Mauro hanno messo le mani sul patrimonio del partito. Ancora una volta le donne e le case (vedi la ristrutturazione di Gemonio) sono la rovina di un leader.
Ora la Lega sarà retta da un triumvirato: Roberto Calderoli, Roberto Maroni e Manuela Dal Lago. I tre saranno capaci di non far naufragare la Lega Nord? O saranno la rovina del partito come o peggio degli altri due triumvirati sopra citati? È chiaro che dei tre il successore di Bossi con più chances è Maroni anche perché il nome di Calderoli compare tra le carte delle inchieste su Belsito and company. Riuscirà l’eterno numero due a diventare il numero uno senza spaccare il partito? Dalle urla della base che hanno accompagnato la sua uscita da via Bellerio pare molto difficile.
Fini, Berlusconi e Bossi sono però tre leader molto diversi tra loro e difficilmente rimpiazzabili perché, nonostante gli errori, a ognuno di loro va riconosciuto un merito. A Fini va dato atto di aver tolto la destra dalla fogna e averla portata al governo, a Berlusconi va riconosciuto di aver portato il bipolarismo e la democrazia dell’alternanza in Italia, costruendo il primo vero partito liberale di massa (in verità molto di massa e molto poco liberale nei fatti) e a Bossi va il merito di essere stato il portatore delle istanze della “questione settentrionale”. A differenza dei primi due, Bossi non ha creato soltanto un partito personale, ma una nuova ideologia: il leghismo.
Il bossismo nei fatti non è mai esistito, mentre il berlusconismo è stata parte integrante della Seconda Repubblica e probabilmente finirà con essa. Il leghismo è destinato a durare? E il nuovo centrodestra come e da chi sarà composto? È molto probabile che i leader del futuro saranno: Maroni, Casini e Alfano. Un nuovo triumvirato che però di nuovo ha ben poco e sa già di vecchio. Dalle macerie della Seconda Repubblica nascerà la Terza, sperando che non porti con sé altre macerie.

Lavoro, i dolori del Partito democratico

di Francesco Curridori tratto da:http://www.fareitaliamag.it/2012/03/27/lavoro-i-dolori-del-partito/

Lavoro, Cgil e Pd sono come tre entità distinte e distanti. L’appoggio al governo di Mario Monti sta creando non pochi problemi al Partito democratico ora che si tratta di approvare la riforma del mercato del lavoro e, con essa, anche le discusse modifiche all’articolo 18.
Nell’incontro di twitteriana memoria con Monti, Alfano e Casini, Pierluigi Bersani si era convinto che il fantomatico “modello tedesco” sarebbe stato quello che il ministro Elsa Fornero avrebbe presentato di lì a pochi giorni. E invece la conferenza stampa di martedì è stata una doccia fredda per i democrat: il reintegro per giusta causa è garantito solo per causa discriminatoria, decide il giudice nei licenziamenti per motivi disciplinari ed è totalmente escluso per motivi economici. L’indennizzo diventa l’opzione principale nella risoluzione dei licenziamenti individuali. La Cgil, per bocca della segretaria Susanna Camusso, si è opposta fin da subito a qualsiasi tipo di riforma, poi ha aperto sul modello tedesco, ma anche domenica dalla Annunziata ha ribadito che se non si troverà un accordo a fine maggio potrebbe arrivare lo sciopero generale. La sua linea non è mai cambiata ma il pranzo col premier Monti a Cernobbio potrebbe aver aperto uno spiraglio.
È il segretario del Pd a trovarsi stretto tra la linea riformista-filomontiana del giuslavorista veltroniano Pietro Ichino e la linea socialdemocratica di Stefano Fassina, responsabile economico del partito. Se si legge il blog dell’economista veltroniano si può notare come Ichino ritenga che “il progetto del governo sul lavoro corrisponde sostanzialmente al modello tedesco” in quanto la giurisprudenza tedesca di fatto prevede il reintegro solo in caso di discriminazione o di rappresaglia nei confronti del lavoratore licenziato. Ichino propone inoltre un indennizzo automatico sia per motivi oggettivi che per cause economiche in modo da non ingolfare i tribunali. Le dichiarazioni di questi giorni di Stefano Fassina vanno invece in direzione totalmente opposta e anzi auspica che il testo venga modificato in Parlamento seguendo il modello tedesco così come richiesto dalla Camusso e ripristinando la concertazione sindacale.
All’interno di questo contesto Bersani non ha potuto far altro che mostrare il suo stupore per la decisione del governo e riallinearsi alle posizioni della Cgil per evitare una frattura nel fianco sinistro del Pd affermando che non si possono “monetizzare” i licenziamenti e promettendo che il testo sarà modificato in Parlamento.
La mediazione di Giorgio Napolitano per ora è servita solo ad evitare il ricorso alla decretazione d’urgenza, ma non ha fermato la determinazione del presidente Mario Monti che ieri, ha detto di non amare la filosofia andreottiana del tirare a campare e perciò “se il Paese attraverso le sue forze sociali e politiche non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data”. La riforma Fornero e questo governo, al momento, dipendono quindi esclusivamente dall’atteggiamento del Pd e da quello del suo segretario che si è subito affrettato a ribattere che “il Paese è pronto ma serve il dialogo”. Solo il futuro della sinistra potrà dirci dove porterà questo continuo tirar la corda prima dal versante liberal-riformista e poi da quello socialdemocratico.

Alla ricerca della legge elettorale perfetta


di Francesco Curridori tratto da: http://www.fareitaliamag.it/2012/02/28/alla-ricerca/

La “famo” alla francese o all’inglese? Alla tedesca, alla spagnola o all’americana? No, non si pensi male, si tratta della riforma elettorale. Quando si parla di legge elettorale scoppia il caos nei partiti italiani che sono divisi tra loro e al loro interno. Cerchiamo di fare chiarezza.
La Lega Nord, sebbene lo stesso autore dell’attuale legge elettorale, Roberto Calderoli, l’abbia soprannominata “porcellum”, vorrebbe mantenere lo status quo. Tutti gli altri partiti no e, almeno a parole, vogliono reintrodurre le preferenze o quantomeno la possibilità per gli elettori di scegliersi i propri candidati. In realtà, i principali partiti, Pd e Pdl, sono intimamente contrari, mentre l’Idv e i referendari incalliti che devono ancora metabolizzare la bocciatura dei loro quesiti da parte della Corte costituzionale spingono in direzione opposta. Il Terzo Polo vuole il proporzionale per rompere con il bipolarismo muscolare, mentre il Pd e il Pdl vogliono una legge elettorale che preveda un bipolarismo “tendenziale” e perciò cercano di accordarsi per un modello ispanico-tedesco, ma la Lega, se proprio si deve cambiare, guarda al modello spagnolo. Nel Pd in luglio ci si era accordati per il modello ungherese, poi si sono svegliati i referendari veltroniani per la reintroduzione del Mattarellum, ma tutti sanno che i dalemiani preferirebbero il modello tedesco per accordarsi con il Terzo Polo. E fin qui di chiarezza non ve n’è nemmeno l’ombra. Allora cerchiamo di far luce sui vari modelli elettorali esteri di cui sopra.
STATI UNITI: Gli Usa sono una Repubblica presidenziale per cui i poteri del capo dello Stato e del capo del governo si concentrano sulle mani di un’unica persona (ma per controbilanciare il Parlamento americano ha forti poteri di controllo). I due maggiori partiti, quello democratico e quello repubblicano, per scegliere i candidati svolgono le primarie. I sistemi di voto per le primarie dei partiti e per le presidenziali sono sostanzialmente uguali. Vi sono i due candidati dei partiti maggiori che si contendono la vittoria e una miriade di altri candidati che non hanno mai reali possibilità di vittoria e che solo in alcuni rari casi disturbano la corsa dei repubblicani o dei democratici. Gli Stati federali sono suddivisi in collegi uninominali dove il candidato che prende più voti vince e si prende il numero di delegati stabilito per ogni singolo Stato in base alle sue dimensioni demografiche. Delegati che poi andranno a Washington per votare e sancire definitivamente l’elezione del candidato più votato. È per questo che vincere in Florida, in California o a New York è molto più importante che vincere in Alaska. In caso di dimissioni, di morte (es: Kennedy) o di impeachment (Nixon) i poteri sono presi dal vicepresidente fino alla scadenza naturale del mandato.
GRAN BRETAGNA: Anche gli inglesi hanno un sistema maggioritario con collegi uninominali dove il candidato che prende più voti vince ma, a differenza degli Usa, non esiste un bipolarismo perfetto. Oltre ai conservatori e ai laburisti, ormai da tempo stanno avendo sempre maggior consenso i liberaldemocratici, tanto che attualmente sono al governo con i conservatori di David Cameron. Sono molto forti anche i partiti indipendentisti, ma questa è un’altra storia. L’altra grande differenza con gli Stati Uniti è che il capo dello Stato è la regina che ha, grosso modo, gli stessi poteri del nostro Napolitano, mentre il premier può cambiare in autonomia i suoi ministri ma può essere sostituito nel corso della legislatura (vedi Thatcher e Blair).
FRANCIA: La Francia, invece, è una repubblica semipresidenziale e perciò lì si vota due volte. Ad aprile i francesi voteranno per eleggere il capo dello Stato che ha molti poteri ma se li spartisce, appunto, col capo del Governo che viene eletto con le legislative in un secondo momento. Per le presidenziali si vota con un sistema elettorale maggioritario a doppio turno dove il candidato che ottiene il 50% +1 viene eletto subito. Se questo non avviene i due candidati che hanno ottenuto più voti si sfidano al ballottaggio. Per le legislative il sistema è identico con l’unica differenza che al ballottaggio passano tutti i candidati che hanno avuto più del 12,5% dei voti. Il capo dello Stato rimane in carica per cinque anni e può cambiare il premier nel corso della sua legislatura. Questo sistema ha prodotto più volte i casi di coabitazione: presidente di sinistra e premier di destra (Mitterand) e viceversa (Chirac).
GERMANIA: La Germania è una repubblica federale con bicameralismo imperfetto, ovvero Camera e Senato hanno funzioni diverse. Il Senato si occupa dei rapporti con i vari Lander (le nostre regioni) e i suoi membri vengono nominati proprio dai singoli governi federali. C’è un presidente della Repubblica che più o meno è l’equivalente del nostro Napolitano e un cancelliere (premier) che può nominare e revocare i suoi ministri e può essere rimosso prima della scadenza naturale del suo mandato solo attraverso la sfiducia costruttiva (si può cambiare governo solo se c’è un nuovo esecutivo pronto a sostituire il precedente).
Per le elezioni legislative vi è un sistema di voto misto per cui una quota di deputati viene eletta col maggioritario (299 deputati) e l’altra quota viene decisa col sistema proporzionale attraverso il voto delle liste bloccate che si presentano a livello nazionale. Esiste, inoltre, una soglia di sbarramento del 5%. Questo sistema elettorale favorisce lo svilupparsi di un bipolarismo tendenziale, cioè non obbligatorio e può generare anche governi di “grossa coalizione” tra centrodestra (CDU) e centrosinistra (SPD).
SPAGNA: La Spagna è una monarchia costituzionale dove il re corrisponde al nostro capo dello Stato, il premier invece viene eletto dal Parlamento ma ha il diritto di nomina e di revoca dei ministri e può indire elezioni anticipate. Il sistema elettorale spagnolo è quello preferito dalla Lega perché, prevedendo circoscrizioni molto piccole (50, una per ogni provincia), salvaguarda i partiti territoriali e a carattere indipendentista. Siamo all’interno di un proporzionalismo puro, regolato secondo il metodo d’Hondt per cui, per l’attribuzione degli eletti si divide il totale dei voti di ogni lista per 1,2,3,4,5… fino al numero di seggi da assegnare nel collegio, e si assegnano i seggi disponibili in base ai risultati in ordine decrescente. Le liste sono bloccate, cioè non vi è il voto di preferenza, ed è presente una soglia di sbarramento del 3% in ogni collegio così da tagliare la strada ai piccoli partiti nazionali e favorire il bipolarismo e i grandi partiti territoriali come per esempio quelli catalani o baschi. Il Senato è composto per lo più da membri nominati dalle comunità territoriali e si occupa appunto del rapporto tra lo Stato centrale e le periferie.
Come si evince da quanto descritto sopra, in ogni Paese esiste una strettissima correlazione tra la forma di governo e la legge elettorale e perciò non è possibile modificare la seconda, se prima non si studia come modificare la prima. Le forze politiche che attualmente compongono la maggioranza numerica che sostiene Monti inizialmente stavano per commettere questo grave errore, poi si sono ravvedute. La speranza è che le riunioni fatte un po’ alla luce del sole e un po’ sottobanco portino finalmente all’approvazione di una riforma costituzionale ed elettorale complessiva.

A proposito di equità


  December 13, 2011

di Francesco Curridori tratto da: http://www.fareitaliamag.it/2011/12/13/a-proposito-di-equita/

Giusto ieri i sindacati, dopo sei anni di divisioni, si sono ritrovati insieme in piazza per manifestare contro la manovra e chiedere maggiore equità. A proposito di equità, però, bisognerebbe chiederci perché si fa una battaglia per la deindicizzazione delle pensioni minime e non si lotta per un loro aumento concreto? Ci siamo forse dimenticati uno degli slogan berlusconiani più famosi: “Un dovere morale: pensioni più dignitose”? E allora le pensioni al tempo della crisi finanziaria più grande dal 1929 entrano a far parte del dibattito del circuito mediatico nel modo più carente. Il dibattito, se si vuol parlare veramente di equità, non dovrebbe svolgersi soltanto attorno all’abolizione delle pensioni d’anzianità ma piuttosto sui pensionati d’oro che, diversamente dai pensionati baby, ricevono dallo Stato cifre stratosferiche. Anche il ministro Fornero su questo tema è stata vaga. Senza addentrarsi in discorsi universitari di macroeconomia è evidente che non è equa una società dove, da un lato ci sono pensioni che superano i trentamila euro al mese e dall’altro lato altre che non arrivano a cinquecento euro. Le riforme che sono state attuate finora avevano (e hanno) lo scopo di posticipare l’uscita dal mondo del lavoro per dare la possibilità ai giovani di oggi di avere una pensione domani.
Ma se non si favorisce la crescita e i giovani di oggi sono perlopiù precari che vivono grazie alla pensione dei genitori, come si può realisticamente credere che essi un domani avranno la pensione? E se, viceversa, i pochi giovani che hanno un lavoro stabile devono usare metà del loro stipendio per aiutare i propri genitori a pagare l’affitto o la badante, che senso ha allungare l’età pensionabile? In sostanza la riforma pensionistica del governo è giusta ma non è equa, se insieme al tema delle pensioni non si affronta quello della precarietà. Se i nostri genitori andranno in pensione a 67 o 68 anni non avremmo risolto il problema delle pensioni dei giovani che, in quanto precari, non possono permettersi di pagarsi i contributi con regolarità. Sarebbe equa una riforma che, a saldi invariati, stabilisca che all’interno dell’attuale torta di spesa pensionistica si possa togliere, con un sostanzioso contributo dei solidarietà, la ciliegina a quei dirigenti pubblici che, a causa di leggi inique, hanno accumulato più pensioni insieme e che ora percepiscono dallo Stato più di mille euro al giorno. Un esempio è Giuliano Amato che, interpellato su un’eventuale riduzione della sua pensione, ha risposto: “Non capisco la domanda…”
E a proposito di costi della politica, anche la polemica innescata in questi giorni sugli stipendi dei parlamentari non è stata affrontata nella sua interezza. È vero infatti che le spese di segreteria in Italia, diversamente dagli altri Paesi europei, sono a carico del deputato e questo genera spesso disparità e lavoro nero o precario. All’estero essi dipendono direttamente dal Parlamento e tutte le spese che i parlamentari devono affrontare quotidianamente (viaggi, alloggi o vitto) sono rimborsate solo dopo essere state realmente effettuate e non attraverso lo strumento della diaria come avviene nel nostro Paese.
Sempre a proposito di equità ci si dovrebbe chiedere perché anziché reintrodurre l’ICI o aumentare l’IRPEF regionale non si è pensato di intervenire in modo più deciso sulle privatizzazioni? Eminenti economisti come Alesina e Giavazzi (ma non solo) hanno più volte sostenuto la necessità di vendere quelli che a destra e a sinistra sono chiamati i “beni di famiglia” come Finmeccanica, Eni, Rai ecc… La loro tesi è più che condivisibile: i gioielli di famiglia si vendono proprio per uscire dai momenti di crisi. Non si capisce se all’interno della classe politica italiana sia maggiore il timore di svendere il patrimonio pubblico o quello di non poter più nominare il presidente, il direttore generale e l’amministratore delegato dei vari enti pubblici…

Le uova a Giannino? Colpa dei conservatori inconsapevoli

di Francesco Curridori tratto da:http://www.fareitaliamag.it/2011/12/02/le-uova-a-giannino/


Conservatori e liberali. Mai come in questo momento queste due categorie ideologiche e ideali tendono a confondersi. La contestazione che ieri ha subito Oscar Giannino alla Statale di Milano è degna del peggior conservatorismo retrogrado di sinistra. Una sinistra che, almeno per quanto riguarda le sue ali estreme e la sua base, ha mal digerito l’esecutivo di Mario Monti, visto come il governo dei banchieri e dei poteri forti. La presentazione della riforma delle pensioni sta già creando malumori all’interno dello stesso Pd e dei sindacati.
Ogni qual volta si prova a dar vita a un dialogo concreto e costruttivo su alcune riforme liberali che l’Italia aspetta da tempo, ci si imbatte sempre nel corporativismo delle caste da un lato e nell’ostruzionismo dei “progressisti” dall’altro. Anche quando si parla di pensioni ci si ritrova davanti alla casta dei sindacati mentre quando si parla di liberalizzazioni o privatizzazioni come nel caso dei servizi pubblici urbani il partito trasversale della spesa pubblica innalza le sue barriere.
Il problema non riguarda solo il rapporto tra i liberali veri e la sinistra conservatrice ma anche quello tra i liberali e l’area politico-culturale del centrodestra. A livello parlamentare, infatti, l’abolizione dell’ordine degli avvocati prevista in una delle varie manovre presentate questa estate dal governo Berlusconi ha visto la resistenza della pletora di deputati-avvocati della precedente maggioranza. Se quindi è uso comune tarpare le ali ai liberali dentro lo stesso centrodestra, non ci si può meravigliare se un gruppo di giovani estremisti di sinistra non danno la parola a un liberale vero come Oscar Giannino. Certo, essere favorevoli all’abbassamento delle tasse e opporsi alla patrimoniale così come predica Giannino può sembrare inusuale e improprio in questo momento ma non permettere neppure che alla Statale di Milano si apra un dibattito sull’euro è quanto di più illiberale ci possa essere.
È proprio in un momento cruciale come questo che non solo si deve aprire il dibattito e il confronto su quali politiche economiche adottare per salvare l’euro e, data l’ampia maggioranza parlamentare, tutte le forze politiche dovrebbero lavorare per creare consenso attorno a queste riforme. Le alternative sono poche: o restare fermi nel proprio conservatorismo, portare l’Italia al default e far crollare l’euro oppure abbandonare l’idea di uno scontro politico-economico con Francia e Germania ed essere protagonisti insieme a loro del salvataggio nostro e dell’Europa.
Ci si potrebbe chiedere: perché il lancio di un paio di uova a un giornalista di ispirazione liberale desta tanto scalpore e tanta preoccupazione? Perché è illiberale e antidemocratico oppure perché può fermare l’attuazione delle riforme chieste dall’Europa? No, nulla di tutto questo. L’aspetto preoccupante è che se manca il dialogo manca la possibilità di favorire il compromesso tra le parti avverse e di creare consenso e senza il consenso diminuiscono le possibilità che certe misure drastiche vengano digerite dall’elettorato. La mancanza di un confronto con la società civile potrebbe ben presto dare maggiore spinta alle pulsioni antieuropeiste e fagocitare l’antipolitica e le forze estreme extraparlamentari. In senso lato, paradossalmente, è più difficile mettere d’accordo una maggioranza composta da oltre 500 deputati che una maggioranza risicata di 316 membri perché sono maggiori gli interessi che ogni singola forza politica deve salvaguardare. Anche un piccolo episodio come quello capitato a Oscar Giannino è quindi la spia di un allarme più generale, di una nuova contrapposizione tra liberali veri e conservatori ‘inconsapevoli’.

Un passo indietro e mille avanti

di Francesco Curridori tratto da: http://www.fareitaliamag.it/2011/11/17/un-passo-indietro/


Il governo Monti ha giurato, ma il berlusconismo è archiviato? Tolto “l’alibi Berlusconi”, non si può più sbagliare: si devono fare in gran fretta le riforme chieste dall’Unione Europea e per questo il governo Monti deve avere il più ampio sostegno politico e sociale possibile. L’atmosfera di unanimismo che circonda il neonato esecutivo è dovuta all’effetto novità tipico dei primi mesi di attività, ma cosa accadrà quando il Parlamento dovrà approvare le riforme lacrime e sangue?
Se, da un lato, in questa fase i partiti hanno dovuto necessariamente fare un passo indietro, a breve ne dovranno fare mille in avanti per spiegare al proprio elettorato il voto favorevole a riforme così impopolari che verranno attuate da tecnici anziché da politici, per la paura di questi ultimi di perdere troppi consensi. Non si tratta della solita critica verso l’incapacità della politica nel trovare soluzioni a problemi che vengono affidate ai tecnici, ma della constatazione che non si deve fare l’errore di credere che, con questa operazione, la politica venga messa in disparte. Anzi, ben venga il governo tecnico per il ritorno della politica.
La decisione del Pdl di sostenere il nascente governo, sganciandosi così dall’abbraccio mortale della Lega Nord è politica e lo sarà ancora di più se questa rottura permetterà l’approvazione di quelle riforme liberali che finora, proprio per colpa dei leghisti, non sono state possibili, ossia la riforma delle pensioni e l’abolizione delle province. È politica la scelta della Lega di andare all’opposizione anche perché un governo tecnico, che ha già il peccato originale di essere staro nominato e non eletto, senza un’opposizione parlamentare sarebbe stato doppiamente azzoppato. È una scelta di mero opportunismo politico quella del Pd di bocciare la nomina di Gianni Letta a sottosegretario alla presidenza del Consiglio per non rompere con l’Italia dei Valori. Nomina che sarebbe stata di altissimo profilo ma che, come si è visto, ha subito innescato una serie di veti incrociati che rischiavano di far saltare il Governo del presidente.
Un governo di larghe intese misto tecnici-politici non sarebbe durato un minuto. Se il Pd e il Pdl avessero dato il via libera a Letta e Amato, anche il Terzo Polo si sarebbe sentito in diritto di proporre un suo esponente all’interno del governo e a quel punto si sarebbero dovute mettere sullo stesso tavolo personalità politiche che fino a un secondo prima si erano combattute ferocemente. Un governo costituito esclusivamente da tecnici può dar vita a quelle maggioranze larghe e trasversali che possono approvare almeno due norme anti-casta: la riduzione del numero dei parlamentari e l’abolizione dei vitalizi. Ecco perché è importante che la politica, nel momento stesso in cui fa un passo indietro permettendo la nascita di un governo di tecnici, ne faccia mille in avanti sostenendolo convintamente. Se si pensa, così come ha fatto Italo Bocchino, di tirare per la giacchetta il tecnico Monti, attribuendogli candidature politiche ancor prima che abbia ricevuto la fiducia parlamentare come presidente del Consiglio, si fa un errore politico gravissimo.
È impensabile che il governo Monti riesca in un anno e mezzo ad approvare tutte quelle riforme liberali che ci chiede l’Europa e che Berlusconi propone da 17 anni senza l’appoggio convinto della politica nella sua più alta espressione, cioè il Parlamento. È lì che, tolto “l’alibi Berlusconi”, la politica si deve riformare per arrivare a una ristrutturazione del panorama politico che consenta, da un lato, la ricomposizione dei moderati e, dall’altro, la riaffermazione del bipolarismo attraverso la scomparsa del fenomeno della proliferazione dei gruppi parlamentari.