http://www.fareitaliamag.it/2012/03/27/lavoro-i-dolori-del-partito/
Lavoro, Cgil e Pd sono come tre entità distinte e distanti.
L’appoggio al governo di Mario Monti sta creando non pochi problemi al
Partito democratico ora che si tratta di approvare la riforma del
mercato del lavoro e, con essa, anche le discusse modifiche all’articolo
18.
Nell’incontro di twitteriana memoria con Monti, Alfano e Casini,
Pierluigi Bersani si era convinto che il fantomatico “modello tedesco”
sarebbe stato quello che il ministro Elsa Fornero avrebbe presentato di
lì a pochi giorni. E invece la conferenza stampa di martedì è stata una
doccia fredda per i democrat: il reintegro per giusta causa è garantito
solo per causa discriminatoria, decide il giudice nei licenziamenti per
motivi disciplinari ed è totalmente escluso per motivi economici.
L’indennizzo diventa l’opzione principale nella risoluzione dei
licenziamenti individuali. La Cgil, per bocca della segretaria Susanna
Camusso, si è opposta fin da subito a qualsiasi tipo di riforma, poi ha
aperto sul modello tedesco, ma anche domenica dalla Annunziata ha
ribadito che se non si troverà un accordo a fine maggio potrebbe
arrivare lo sciopero generale. La sua linea non è mai cambiata ma il
pranzo col premier Monti a Cernobbio potrebbe aver aperto uno spiraglio.
È il segretario del Pd a trovarsi stretto tra la linea
riformista-filomontiana del giuslavorista veltroniano Pietro Ichino e la
linea socialdemocratica di Stefano Fassina, responsabile economico del
partito. Se si legge il blog dell’economista veltroniano si può notare
come Ichino ritenga che “il progetto del governo sul lavoro corrisponde
sostanzialmente al modello tedesco” in quanto la giurisprudenza tedesca
di fatto prevede il reintegro solo in caso di discriminazione o di
rappresaglia nei confronti del lavoratore licenziato. Ichino propone
inoltre un indennizzo automatico sia per motivi oggettivi che per cause
economiche in modo da non ingolfare i tribunali. Le dichiarazioni di
questi giorni di Stefano Fassina vanno invece in direzione totalmente
opposta e anzi auspica che il testo venga modificato in Parlamento
seguendo il modello tedesco così come richiesto dalla Camusso e
ripristinando la concertazione sindacale.
All’interno di questo contesto Bersani non ha potuto far altro che
mostrare il suo stupore per la decisione del governo e riallinearsi alle
posizioni della Cgil per evitare una frattura nel fianco sinistro del
Pd affermando che non si possono “monetizzare” i licenziamenti e
promettendo che il testo sarà modificato in Parlamento.
La mediazione di Giorgio Napolitano per ora è servita solo ad evitare il
ricorso alla decretazione d’urgenza, ma non ha fermato la
determinazione del presidente Mario Monti che ieri, ha detto di non
amare la filosofia andreottiana del tirare a campare e perciò “se il
Paese attraverso le sue forze sociali e politiche non si sente pronto
per quello che noi riteniamo un buon lavoro non chiederemmo di
continuare per arrivare a una certa data”. La riforma Fornero e questo
governo, al momento, dipendono quindi esclusivamente dall’atteggiamento
del Pd e da quello del suo segretario che si è subito affrettato a
ribattere che “il Paese è pronto ma serve il dialogo”. Solo il futuro
della sinistra potrà dirci dove porterà questo continuo tirar la corda
prima dal versante liberal-riformista e poi da quello socialdemocratico.
di Francesco Curridori tratto da:
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