venerdì 20 aprile 2012

Lavoro, i dolori del Partito democratico

di Francesco Curridori tratto da:http://www.fareitaliamag.it/2012/03/27/lavoro-i-dolori-del-partito/

Lavoro, Cgil e Pd sono come tre entità distinte e distanti. L’appoggio al governo di Mario Monti sta creando non pochi problemi al Partito democratico ora che si tratta di approvare la riforma del mercato del lavoro e, con essa, anche le discusse modifiche all’articolo 18.
Nell’incontro di twitteriana memoria con Monti, Alfano e Casini, Pierluigi Bersani si era convinto che il fantomatico “modello tedesco” sarebbe stato quello che il ministro Elsa Fornero avrebbe presentato di lì a pochi giorni. E invece la conferenza stampa di martedì è stata una doccia fredda per i democrat: il reintegro per giusta causa è garantito solo per causa discriminatoria, decide il giudice nei licenziamenti per motivi disciplinari ed è totalmente escluso per motivi economici. L’indennizzo diventa l’opzione principale nella risoluzione dei licenziamenti individuali. La Cgil, per bocca della segretaria Susanna Camusso, si è opposta fin da subito a qualsiasi tipo di riforma, poi ha aperto sul modello tedesco, ma anche domenica dalla Annunziata ha ribadito che se non si troverà un accordo a fine maggio potrebbe arrivare lo sciopero generale. La sua linea non è mai cambiata ma il pranzo col premier Monti a Cernobbio potrebbe aver aperto uno spiraglio.
È il segretario del Pd a trovarsi stretto tra la linea riformista-filomontiana del giuslavorista veltroniano Pietro Ichino e la linea socialdemocratica di Stefano Fassina, responsabile economico del partito. Se si legge il blog dell’economista veltroniano si può notare come Ichino ritenga che “il progetto del governo sul lavoro corrisponde sostanzialmente al modello tedesco” in quanto la giurisprudenza tedesca di fatto prevede il reintegro solo in caso di discriminazione o di rappresaglia nei confronti del lavoratore licenziato. Ichino propone inoltre un indennizzo automatico sia per motivi oggettivi che per cause economiche in modo da non ingolfare i tribunali. Le dichiarazioni di questi giorni di Stefano Fassina vanno invece in direzione totalmente opposta e anzi auspica che il testo venga modificato in Parlamento seguendo il modello tedesco così come richiesto dalla Camusso e ripristinando la concertazione sindacale.
All’interno di questo contesto Bersani non ha potuto far altro che mostrare il suo stupore per la decisione del governo e riallinearsi alle posizioni della Cgil per evitare una frattura nel fianco sinistro del Pd affermando che non si possono “monetizzare” i licenziamenti e promettendo che il testo sarà modificato in Parlamento.
La mediazione di Giorgio Napolitano per ora è servita solo ad evitare il ricorso alla decretazione d’urgenza, ma non ha fermato la determinazione del presidente Mario Monti che ieri, ha detto di non amare la filosofia andreottiana del tirare a campare e perciò “se il Paese attraverso le sue forze sociali e politiche non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data”. La riforma Fornero e questo governo, al momento, dipendono quindi esclusivamente dall’atteggiamento del Pd e da quello del suo segretario che si è subito affrettato a ribattere che “il Paese è pronto ma serve il dialogo”. Solo il futuro della sinistra potrà dirci dove porterà questo continuo tirar la corda prima dal versante liberal-riformista e poi da quello socialdemocratico.

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