Leader carismatici che si fanno da parte, partiti tradizionali che
vengono travolti dagli scandali, nuovi movimenti che si affacciano sul
panorama politico in nome dell’antipolitica e contro la partitocrazia.
No, non si tratta di una rievocazione storica delle vicende legate alla
Tangentopoli del 1992. I protagonisti non sono Bettino Craxi, Giulio
Andreotti o Arnoldo Forlani.
Vent’anni dopo i protagonisti sono cambiati ma la storia è la stessa,
così come prevede la norma gattopardesca del “tutto cambia perché non
cambi nulla”. Finora a uscire di scena, per il momento, sono stati
Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, ma il copione del film non è
cambiato. Al posto di Severino Citaristi e di Vincenzo Balzamo,
rispettivamente tesoriere della Democrazia cristiana e del Psi, ora sono
indagati Luigi Lusi e Francesco Belsito per la Margherita e per la
Lega.
A decretare la fine della Prima repubblica però non furono soltanto
le inchieste giudiziarie, ma anche le sollecitazioni provenienti da
fuori il Palazzo. La società civile tramutò la sua indignazione in
partecipazione al voto nei quesiti referendari proposti dai pattisti di
Mario Segni e dai radicali. L’introduzione forzata del sistema bipolare e
i due governi tecnici di Giuliano Amato e Carzo Azeglio Ciampi
segnarono una cesura tra la fine del pentapartito e il nuovo corso
berlusconiano.
Ma questo è solo un’analogia molto secondaria rispetto alle altre che invece sembrano far pensare a un déjà vu.
Prima tra tutte il riaffiorare di movimenti che cavalcano
l’antipolitica. Sarebbe troppo scontato paragonare il Movimento 5 stelle
di Beppe Grillo alla Lega Nord degli esordi politici di Umberto Bossi.
Tutta la sinistra, Bersani, D’Alema e Vendola in primis, si è schierata in questo senso per screditare i grillini e cercare di fermarne l’avanzata.
Per spiegare il fenomeno del “grillismo” i giornalisti, gli opinion leader
e i politologi hanno riempito quintali di pagine senza giungere mai a
una sua definizione reale e completa. Ciò è avvenuto per la scarsa
conoscenza della Rete che, in realtà, altri non è che un luogo di
incontro, un territorio. A conti fatti per i grillini la Rete non è
altro che ciò che per i leghisti è la Padania, un territorio
inevitabilmente molto più piccolo del web ma al tempo stesso con
contorni geografici difficilmente delineabili.
La Rete non è un luogo fisico così come la Padania non è uno Stato né
una nazione. Il popolo della Rete è talmente vasto ed eterogeneo che
non è identificabile solo con i grillini o con il popolo viola così come
la Lega non ha un popolo padano di riferimento. Per quanto la Lega
possa essere (stata) forte non ha mai ottenuto più del 30-40% al Nord e
ciò significa che un buon 70% di “nordisti” non si considera
appartenente al “popolo padano”. In sintesi non tutti coloro che
navigano su internet sono “grillini” e anche coloro che visitano il blog
del comico genovese non è detto che tutti al 100% approvino quello che
leggono, così come solo una minoranza di italiani (che generalmente va
dal 5 al 10%) si considera padano.
Sebbene entrambi i movimenti devono la loro fortuna per lo più al
voto d’opinione, esistono delle differenze per quanto riguarda il
blocco sociale di riferimento: i giovani internauti e gli intellettuali
guardano con favore a Grillo, mentre gli agricoltori padani e i cummenda
del Nord produttivo votano Lega. Ciò a cui siamo assistendo in questo
momento è proprio un film già visto. La classe politica tradizionale
considera Beppe Grillo un volgare populista così come avveniva nei primi
anni ’90 con Bossi. Entrambi invece hanno saputo porre sull’agenda setting della politica delle issues
completamente nuove rispetto al passato. Mi riferisco al federalismo di
marchio leghista e all’attenzione che i grillini pongono sulle nuove
tecnologie e sulle energie rinnovabili.
Questa è la prima parte del film con Grillo protagonista. Bisognerà
aspettare ancora qualche anno per vedere se il finale del fim sarà lo
stesso di Bossi e cerchisti magici, mentre basterà attendere qualche
giorno o settimana per sentire paragonare Beppe Grillo a Marine Le Pen.
Oltre al déjà vu vecchio di vent’anni sulla fine dei partiti
tradizionali e sull’antipolitica, ce n’è un terzo molto più recente che
vede come attori protagonisti Casini e Alfano. Il primo ha annunciato
unilateralmente la fine dell’Udc e la nascita del Partito della Nazione
proprio come fece Berlusconi cinque anni fa, e proprio come nel 2007
Fini e i suoi sono rimasti spiazzati dall’iniziativa e stanno
sommessamente esprimendo i loro distinguo. Alcuni futuristi pensano sia
meglio una federazione.
Ora sono passati cinque anni e Alfano non ha il carisma di Berlusconi
per salire sul predellino di una macchina e fare annunci roboanti, ma
di fatto ha già chiuso il Pdl proprio come avvenne con Forza Italia
quando nacque il Pd. Cambiano gli attori ma il copione è identico.
Francesco Curridori tratto da:
http://www.thefrontpage.it/2012/04/24/un-film-gia-visto/
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