sabato 21 luglio 2012

Ancora beghe nel Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it sabato 14 luglio 2012 Sempre la stessa solfa. Il discorso di Pier Luigi Bersani all’assemblea nazionale del Pd sembra il remake di un film già visto. Il ritorno di Berlusconi nell’arena politica come candidato premier spaventa molto di più del temutissimo spread. Un ritorno definito «agghiacciante» dal segretario del Pd il quale forse però avrebbe fatto meglio a usare quel termine per descrivere lo spettacolo che oggi ha dato il gotha della sinistra italiana. Tra primarie rinviate e mozioni sui matrimoni omosessuali a fare la parte della protagonista è Rosy Bindi, presidente del partito. Bersani, dopo le dichiarazioni di rito di pieno sostegno al «pompiere Monti», l’appello al «risveglio civile» e il ringraziamento a Napolitano per aver richiamato le forze parlamentari a modificare l’attuale legge elettorale, ha dovuto a sua volta spegnere l’incendio che i suoi avevano appiccato. «Attenzione noi siamo il primo partito del Paese, dobbiamo dire con precisione all'Italia che cosa vogliamo, il Paese non è fatto delle beghe nostre» ha ammonito il segretario dopo che era stato approvato solo uno dei due documenti relativi ai diritti alle coppie di fatto e omosessuali. «Nel momento in cui per la prima volta il Partito democratico prende l'impegno ad una regolamentazione giuridica delle unioni, vedo gente che dice vado via» ha proseguito il segretario nell’intento di frenare fin da subito eventuale fughe da parte dei cattolici democratici o dei laicisti. Il presidente del partito Rosy Bindi ha infatti negato la possibilità di votare un secondo documento sui diritti civili che in maniera più esplicita appoggiava le nozze gay. A destare scandalo sono state le parole di Enrico Fusco, delegato della Puglia che prima della votazione ha attaccato il documento definendolo «arcaico, irrispettoso, offensivo per la dignità delle persone. Non è un passo in avanti ma un passo indietro enorme. Anche Fini è più avanti di noi». Sulle primarie, invece, apparentemente non sembrano esserci divergenze di vedute ma intanto oggi non si è sciolto il nodo della data e così c’è il rischio che slittino a dicembre. «È nostra intenzione determinare un grande appuntamento di partecipazione per la scelta del candidato dei progressisti alla guida del governo. Dalla Direzione è venuto un criterio di apertura, un criterio che suggerisce di privilegiare l’allargamento della partecipazione, piuttosto che l’allestimento di barriere», ha infatti pomposamente dichiarato Bersani chiarendo che saranno primarie aperte anche ad altri esponenti del Pd. Fin qui nulla di strano, anzi vi è persino una chiara apertura alla candidatura di Matteo Renzi, il quale dal canto suo si è affrettato a mettere in guardia il segretario: «i giovani del Pd non sono come quelli del Pdl. Non faremo come Alfano, che appena è tornato Berlusconi ha detto: ‘Prego, si accomodi’ ». La decisione della presidenza di non mettere ai voti i tre ordini del giorno sulle regole per le primarie non solo per il candidato premier ma anche per i parlamentari e sul limite di tre mandati per gli stessi parlamentari ha creato un’ennesima bagarre con una parte della sala, che si è alzata al gridi «voto,voto,voto». A guidare la contestazione l’ex «rottamatore» Beppe Civati. A creare ancora più atriti ci pensa Dario Franceschini il quale con la sua dichiarazione anziché sgombrare il campo da eventuali equivoci sembra aggiungerne di nuovi: «può essere che in base alle parole di Bersani si apra la possibilità che anche altri iscritti Pd si candidino alle primarie ma è naturale che il candidato ufficiale del Pd è il segretario del partito». Ancora una volta il Pd dà l’immagine di un partito concentrato più sulle beghe interne che sulle sorte del Paese e Bersani quella di un leader che vorrebbe governare l’Italia ma che non riesce a governare nemmeno il proprio partito. Tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201207145424/partiti-e-istituzioni/ancora-beghe-nel-pd.html

L'affaire Lusi, spina nel fianco del Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it martedì 26 giugno 2012 Il Partito Democratico è sempre stretto tra due fuochi. Da una parte il voto sull'arresto di Lusi e le cozze pelose di Penati, dall'altra lo scoop dell'Espresso sul piano berlusconiano di candidare l'attuale sindaco di Firenze a premier del centrodestra. Il Pdl non ha partecipato al voto sulla richiesta d'arresto di Lusi lasciando che fosse il Pd a risolvere una faccenda tutta interna al campo del centrosinistra. Ora tutti tremano davanti all'idea che Lusi possa fare altri nomi e l'inchiesta si allarghi. Per il momento nessun esponente del Pd ha ricevuto un avviso di garanzia ma Lusi ha ribadito che con la fusione con i Ds e la nascita del Pd, dentro la Margherita fu raggiunto un accordo, del quale egli fungeva da garante, per la ripartizione dei fondi e delle spese tra popolari a cui sarebbe spettato il 60% e ai rutelliani a cui sarebbe stato destinato il restante 40%. Rutelli, inoltre, secondo le rivelazioni di Lusi, quando era ancora alla guida della Margherita sarebbe stato al corrente di tutte le sue operazioni illecite e le avrebbe avvallate. Ha del tragicomico, invece, la vicenda di Filippo Penati, l’ex braccio destro di Bersani che è indagato dalla procura di Monza in merito a giro di tangenti intascate per la riqualificazione dell'ex area Falck di Sesto San Giovanni, comune di cui è stato primo cittadino dal ’94 al 2001. Dagli sviluppi delle indagini risulta che Penati avrebbe messo in conto alla sua fondazione «Fare Metropoli» una serie di fatture di pranzi e cene a base di cozze pelose, gli stessi frutti di mare che hanno inguaiato il sindaco di Bari Michele Emiliano. Numerosi sono i conti intestati anche al suo ex portavoce, Franco Maggi con il quale Penati era un abituè dei ristoranti del centro della Capitale. Il caso Renzi-l'Espresso è molto più emblematico. L'attuale sindaco di Firenze è indubbiamente il politico più berlusconiano nel panorama politico italiano. La gestualità, la scenografia degli eventi, il carattere spigliato nel rivolgere battute mordenti agli avversari ma soprattutto il progetto politico di rompere uno schema consolidato e obsoleto nell’area del centrosinistra. Non è un caso che secondo un recente sondaggio solo il 39% degli elettori di centrosinistra lo voterebbe, mentre tra gli elettori del centrodestra il suo consenso è del 37%. Che poi lo scoop di Repubblica sia reale o invece sia solo un'opera di discredito da parte del gruppo L'Espresso di Carlo De Benedetti è un problema secondario anche se a destra nessuno ha smentito la veridicità di quel documento. La verità è che il Pd è un partito ancora a carattere socialdemocratico dove chi espone idee liberal o vicine al cattolicesimo democratico viene emarginato. I casi di Pietro Ichino e di Beppe Fioroni, che sono sistematicamente tacitati rispettivamente dai colleghi di partito Stefano Fassina e Paola Concia, ne sono un esempio. Il responsabile economico del Pd in questi giorni si è speso molto nello sbeffeggiare anche Renzi, definendolo «un portaborse, uno che è diventato sindaco per caso». È anche vero che Renzi «se le va a cercare». Nel corso del suo ultimo intervento al Big Bang, la manifestazione dove avrebbe dovuto annunciare la sua candidatura alle primarie, ha attaccato pesantemente i vertici del Pd: «Caro D’Alema, caro Veltroni, cara Rosy, caro Marini: in questi anni avete fatto molto per il partito e per il paese. Adesso anche basta. Si può servire l’Italia non necessariamente stando appiccicato a una poltrona». Immediata è arrivata la risposta della Bindi, presidente del partito: «Certo che se è Matteo Renzi, e in quel modo, a darmi lo sfratto, allora mi viene la voglia di restare». E ancora: «Le nostre regole sono chiare - afferma -: alle primarie di coalizione per la premiership il partito va con il proprio segretario, contro non possono scendere in campo altri esponenti del Pd ma solo quelli degli altri partiti. Nonostante questo abbiamo proposto primarie aperte». Certo che deve fare molta paura questo Renzi se gli si vuole persino impedire di candidarsi. tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201206265403/partiti-e-istituzioni/l-affaire-lusi-spina-nel-fianco-del-pd.html

Le vicissitudini del Pd

di Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it martedì 12 giugno 2012 Riforme, authority, primarie e alleanze. Quanta carne al fuoco nel pentolone del Partito democratico che venerdì si è riunito per annunciare la candidatura del segretario Pier Luigi Bersani alle primarie che si terranno a ottobre. Un segretario che guida un partito completamente balcanizzato dalle mosse degli scalpitanti e intraprendenti giovani democratici come il «rottamatore» Matteo Renzi e il «giovane turco» Stefano Fassina. Il primo punta a battere Bersani alle primarie, mentre il secondo mira a far cadere il governo Monti per un tornaconto. C'è una parte del partito che vuole monetizzare subito il distacco col centrodestra ma per farlo bisogna sciogliere alcuni nodi. Primo tra tutti la riforma della legge elettorale e solo in un secondo momento si capirà come e da chi sarà composta la futura alleanza di centrosinistra. A parole Pd e Pdl desiderano cambiare la legge elettorale ma ci sono alte probabilità che rimanga il porcellum. Angelino Alfano si è detto pronto ad accettare il doppio turno (che già da tempo è inserito nello statuto del Pd) in cambio del semipresidenzialismo, mentre la direzione nazionale dei democratici ha respinto tale offerta ritenendola irricevibile. In quella occasione Bersani ha proposto: «un patto dei democratici e dei progressisti per l'Italia», lasciando così aperta la possibilità di alleanze con associazioni, movimenti e liste civiche e aprendo di fatto le porte a una «lista Saviano» per cercare di arginare il grillismo. Eventualità questa che è stata accolta male dal consigliere lombardo Beppe Civati il quale intravede in questa operazione il pericolo di trasformare il Pd in una sorta di «bad company» dove candidare soltanto la vecchia nomenclatura. Anche Civati pare essere interessato alla corsa per la premiership ma è molto probabile che da qui a ottobre la frattura tra lui e Renzi si ricomponga e che insieme alla Debora Serracchiani creino nuovamente un'unica corrente di giovani rottamatori pronti a lottare contro gli oligarchi del Pd. Le difficoltà per il Pd però non sono solo nel fronte interno ma soprattutto sul fronte esterno dove appare sempre più definitiva la rottura con l'Italia dei valori. Antonio Di Pietro ha infatti criticato l'alleanza di governo tra Pd e Pdl: «Non è più il tempo di primi della classe. Ci vuole coerenza tra parole e comportamenti. Non ce l'ha detto il medico di stare insieme. La politica in questo momento è offesa da chi fa le spartizioni sull'Agcom, da chi vota la fiducia sull'articolo 18, da chi va in piazza e poi sta con il governo Monti». E proprio sull'articolo 18 e sul sostegno al governo Monti, Bersani si è preso i fischi dalla platea al convegno della Fiom. Ma critiche arrivano anche dal centro a causa della partecipazione di Bersani al gay Pride di Bologna nel corso del quale il segretario ha fatto una notevole apertura verso le unioni civili tra persone dello stesso sesso mettendo così in seria difficoltà l'alleanza con i cattolici e i moderati, sia quelli interni al Pd sia con l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Ed è in questo contesto che si inserisce la proposta della legge elettorale maggioritaria col doppio turno. Lo scopo è duplice: da un lato far fallire ogni tentativo di riforma per mantenere il porcellum, una legge che favorisce le coalizioni ampie, dall'altro la possibilità col maggioritario a doppio turno (se introdotto) di ridurre la rappresentanza di forze che puntano alla corsa solitaria come il Movimento 5 stelle o l'Idv nel caso la foto di Vasto venisse definitivamente stracciata da Di Pietro. Nell'attesa che la riforma elettorale si compia o meno il posto di Bersani è sempre più «precario». Tratto da:http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201206125378/partiti-e-istituzioni/-le-vicissitudini-del-pd.html

Nel Pd la sconfitta di Parma brucia ma i vertici del partito minimizzano

Francesco Curridori curridori@ragionpolitica.it giovedì 24 maggio 2012 Ora come allora. Molto si è detto e si è scritto sulle analogie e sulle differenze tra il biennio ‘92-’93 e il periodo storico che stiamo vivendo. Oggi come allora: crisi economica, governi tecnici, partiti tradizionali in crisi e nuovi soggetti politici che irrompono sul panorama politico. I risultati di queste amministrative, infatti, da un certo punto di vista sembrano essere molto simili a quelli del 1993 in cui la sinistra vinse in tutte le città più importanti: Roma, Torino, Venezia, Genova ecc…eccetto Milano che fu conquistata dalla Lega Nord, un movimento autonomista che aveva già avuto un ragguardevole successo alle Politiche dell’anno precedente. Certo Parma non è Milano ma la vittoria dei grillini contro «l’usato sicuro» dell’establishment democratico locale, ossia contro il presidente della provincia Vincenzo Bernazzoli, rappresenta un segnale non indifferente per il Partito democratico. E non a caso Matteo Renzi, il sindaco-rottamatore di Firenze, ha ammonito il segretario del suo partito: «Il Pd ha vinto la sfida dei numeri ma non ha convinto nella sfida politica. Se Bersani e i suoi colleghi segretari di partito si rendono conto che la somma di astenuti, grillini e outsider rende i partiti, tutti insieme, minoranza nel Paese, allora abbiano il coraggio di alcuni cambiamenti subito». Parole che stridono davanti alla farneticante dichiarazione di Bersani che è stata sbeffeggiata persino da Crozza durante la trasmissione di Ballarò: «A Parma non abbiamo perso, abbiamo non vinto», facendo così passare per buona l’analisi di Enrico Letta secondo cui il grillino Pizzarotti avrebbe vinto grazie ai voti degli elettori del centrodestra che sarebbero andati i massa a votare per lui pur di non far vincere la sinistra. Ora, ammesso pure che questa tesi sia valida, ci sarebbe da chiedersi come mai una città che fino al 1997 era considerata storicamente rossa, dopo un’amministrazione fallimentare come quella di Vignali, non ritorni nelle mani del centrosinistra, seguendo quindi quella che è stata la tendenza generale di questa tornata elettorale. A Parma, pur di non essere governati di nuovo dal centrosinistra, gli elettori di centrodestra, anziché starsene a casa come è avvenuto nel resto d’Italia per questi ballottaggi, hanno scelto di votare il grillino. E per giunta è sbagliata anche la tesi secondo cui l’errore di Bernazzoli sarebbe stato quello di non riuscire ad incrementare i voti del primo turno ma di essere soltanto riuscito a mantenere il 39% del primo turno. In realtà Bernazzoli al ballottaggio ha preso 600 voti in meno rispetto al primo turno. La sconfitta di Parma brucia nel Pd e mentre i vertici del partito cercando di minimizzarla, i giovani come Debora Serracchiani se ne preoccupano arrivando a scrivere sui social network: «Non nascondiamo la testa sotto la sabbia: il risultato di Parma, che ha visto l’affermazione del candidato del Movimento 5 stelle, Federico Pizzarotti, offusca ogni altra vittoria del Pd». E la offusca anche perché le vittorie del Pd sono ben poche. Se, oltre a Parma. si considerano le altri grandi sfide si può vedere come a Verona abbia perso al primo turno, a Palermo Ferrandelli contro Leoluca Orlando non ha superato il 27% e a Genova ha vinto Doria, candidato di Sel che alle primarie cittadine aveva sconfitto le due candidate del Pd: l’ex sindaco Marta Vincenzi e la senatrice Roberta Pinotti. La riconferma di Cialente a L’Aquila è l’unica vittoria dei democrat in un capoluogo di regione perché a Catanzaro il Pd ha perso già al primo turno. E non bisogna dimenticare le sconfitte del primo turno a Lecce e a Gorizia, il ribaltone avvenuto al ballottaggio a Frosinone con il centrodestra vincente. A Cuneo, invece, il candidato democratico ha perso contro l’Udc e a Belluno contro una lista civica guidata dall’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale che era stato espulso dal partito perché aveva chiesto che si facessero le primarie per la scelta del candidato sindaco. In totale sono nove i candidati democratici che non hanno bissato la vittoria e in tre casi le sconfitte sono scaturite a cause delle primarie: Genova, Palermo e Belluno. Ora il Pd si trova davanti a un problema analogo a quello del ’93: è il primo partito ma non ha la forza numerica necessaria per essere determinate nei confronti dei suoi stessi alleati, non ha un leader sostenuto da tutto il partito e, ora come allora, non è in grado di recepire le novità che si chiamino Lega Nord o Movimento cinque stelle poco importa. L’importante è farsi fregare voti continuando a far finta di nulla. Lo spettro del ’93-’94 si aggira nella sinistra italiana e non è detto che la gioiosa macchina da guerra della sinistra non si schianti ora come allora. tratto da: http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/201205245350/partiti-e-istituzioni/nel-pd-la-sconfitta-di-parma-brucia-ma-i-vertici-del-partito-minimizzano.html

Il “censimento” dei partiti politici

Lista Montezemolo, lista Saviano e Italia pulita. La Seconda Repubblica è al tramonto e i partiti tradizionali cercano di frenare l’avanzata dell’antipolitica e del Movimento cinque stelle di Beppe Grillo con la nascita di liste civiche. Mentre alle ultime elezioni amministrative l’astensionismo ha raggiunto livelli record, nel terzo polo e nel centrodestra si discute sulla discesa in campo di Montezemolo, nel Pd sull’opportunità di consentire la creazione di una lista che apra alla società civile sotto la protezione di Saviano e del quotidiano Repubblica e Berlusconi intende affidare all’ex capo della Protezione civile Bertolaso la nascita di una lista civica “Italia Pulita”. È la fine dei partiti? Dopo quasi vent’anni dall’inizio della Seconda Repubblica ci si avvia al suo tramonto con una quasi certezza: il bipolarismo non si è mai realizzato e forse non si realizzerà mai e ancor meno il bipartitismo potrà trovare terreno fertile nel nostro Paese. Sebbene in Italia non esista una normativa che regolamenti la vita democratica dei partiti perché l’articolo 49 della Costituzione è tutt’ora ancora inapplicato, abbiamo provato a fare un “censimento” dei partiti attualmente esistenti in Italia.
Nel Parlamento italiano a inizio legislatura erano otto: Pd, Pdl, Idv, Lega Nord, Udc, Mpa, Svp e Uv con i Radicali che erano stati eletti dentro le file del Pd e i repubblicani di Francesco Nucara eletti col Pdl. Nel giro di quattro anni sono nati: il Fli di Gianfranco Fini, l’Api di Francesco Rutelli, il Movimento di Responsabilità Nazionale (MRN) di Domenico Scilipoti, l’Alleanza di centro (ADC) di Francesco Pionati, i Popolari dell’Italia di Domani (Pid), il Grande Sud nato dalla fusione tra Forza del Sud di Gianfanco Miccichè, Io Sud di Adriana Poli Bortone e Noi Sud di Arturo Iannaccone, mentre Stefania Craxi ha da poco fondato il movimento Riformisti Italiani e il senatore Enrico Musso nel 2011 aderisce al PLI. Sempre al Senato è presente anche un esponente del movimento Verso Nord di Massimo Cacciari, mentre il vicepresidente Rosy Mauro, recentemente espulsa dalla Lega, ha dato vita al partito Siamo gente comune Movimento territoriale.
Fuori dal Parlamento i partiti più importanti, presenti in tutto il territorio nazionale, sono 18. A sinistra troviamo SEL di Nichi Vendola, Fds (Prc-Pdci) ossia la Federazione della Sinistra di Paolo Ferrero e di Oliviero Diliberto, Sinistra Critica di Marco Rizzo, il Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando e la Federazione dei Verdi di Angelo Bonelli. Al centro abbiamo dei mini partiti che si pongono l’obiettivo di riportare il centro ai fasti della Prima Repubblica: l’Udeur di Clemente Mastella, la Dc di Giuseppe Pizza e quella di Angelo Sandri, Rifondazione Dc di Publio Fiori, Io amo l’Italia del giornalista Magdi Cristiano Allam. Dalla diaspora del Psi sono nati: il Nuovo Psi di Stefano Caldoro, il Psi di Riccardo Nencini, il Psdi di Renato D’Andria. A destra, invece, dal congresso di Fiuggi ad oggi sono nati: La Destra di Francesco Storace, Forza Nuova di Roberto Fiore, Movimento Sociale-Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli, Movimento idea sociale di Pino Rauti. Fuori dagli schemi ma sempre vicino al centrodestra ci sono il partito Pensionati di Carlo Fatuzzo e il Tea party italiano che sabato a Venezia ha dato vita al #NOIMUDAY.
A livello regionale vi è una moltitudine di partiti autonomisti soprattutto in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta dove comunque la fanno da padroni SVP e l’Union Valdotaine. Nel resto del Nord fino a pochi mesi fa la Lega Nord viaggiava attorno al 10%. Nel resto del Paese il partito autonomista più antico è il Psd’az, partito sardo d’azione, creato dal partigiano Emilio Lussu dalle ceneri del Partito d’azione.
Se poi si visita il sito dei brevetti e dei marchi si può notare che esistono un’altra infinità di partiti, pulviscoli buoni per tutte le necessità. Si va dal partito degli automobilisti al partito dell’onestà, dal partito della felicità al partito italiano donne sino ad arrivare al partito di transizione e per finire col partito delle buone maniere dr. Seduction. Insomma tutti criticano e ripugnano i partiti ma, prima o poi, più o meno tutti desiderano fondarne uno e aspirano a far politica.


di Francesco Curridori tratto da: http://www.t-mag.it/2012/06/18/il-censimento-dei-partiti-politici/

giovedì 24 maggio 2012

Chi vince, chi perde, chi crede di aver vinto

Finiti i secondi tempi del torneo primaverile di questo 2012, è ora di fare un bilancio conclusivo per analizzare chi ha vinto e chi ha perso queste amministrative.
A livello di “coalizioni”, ammesso che nella fase conclusiva della Seconda Repubblica si possa ancora fare una simile distinzione, il centrosinistra ha ribaltato la situazione portando a 18 le vittorie laddove cinque anni fa 18 erano state le sconfitte. Ha sicuramente perso il centrodestra che, presentandosi diviso quasi ovunque, è stato dapprima escluso dai ballottaggi più importanti e alla resa dei conti ha vinto solo in sei capoluoghi. La Lega vince solo a Verona e per il resto sparisce dal Nord (a parte qualche buon risultato in Veneto al primo turno). Il Terzo polo ne esce con le ossa rotte ma con l’Udc in buona salute. Il Movimento 5 stelle stravince a Parma e vince in altri tre comuni.
A livello di partiti la situazione è un po’ più complessa:
Il Pdl, oltre una cocente sconfitta sia al primo che al secondo turno, subisce un fenomeno di meridionalizzazione della rappresentanza, ovvero sparisce dal Nord Italia. A parte la riconferma di Gorizia, le altre cinque vittorie sono tutte al centro sud e forse non è un caso che proprio il capoluogo friulano sia l’unico in cui il Pdl si presentava unito non solo alla Lega Nord ma anche all’Udc. Gorizia è infatti l’unico caso in cui si sono schierate l’una contro l’altra le coalizioni classiche che si sono scontrate per quasi tutta la Seconda Repubblica. Segno questo che al Nord, senza la Lega, il centrodestra perde.
Le altre vittorie sono state conseguite a Lecce e a Catanzaro (dove i risultati sono tutt’ora contestati dal centrosinistra) al primo turno e a Trani, Trapani e Frosinone, unico capoluogo strappato al centrosinistra. Da segnalare inoltre che anche la vittoria di Trapani è un caso isolato in una Sicilia dove il segretario Alfano perde in casa. In tutti e cinque i casi, poi,  il Pdl non era alleato con l’Udc, ma nella maggior parte dei capoluoghi l’assenza del partito di Casini è stata determinante per decretare la sconfitta del centrodestra.
L’Udc vince ad Agrigento con l’ondivago Zambuto che ottiene la riconferma a sindaco col 75% e a Cuneo dove Borgna batte il candidato del Pd 60 a 40, mentre perde i ballottaggi di Lucca, L’Aquila e Genova dove comunque Enrico Musso passa dal 15 al 40%. Un altro dato non indifferente è che sebbene il Terzo polo sia un progetto ormai accantonato e in termini percentuali l’Udc non sfonda resta determinante per il futuro centrodestra. La mancata alleanza con l’Udc infatti ha precluso al Pdl di andare al ballottaggio a: Genova, L’Aquila, Palermo, Parma, Lucca e di vincere al primo turno a Rieti.
La Lega Nord perde 7 ballottaggi su 7 e secondo le ultime stime sarebbe scesa al 5-6% a livello nazionale, a fronte di un quasi 13% ottenuto alle regionali. L’unico caso in cui i leghisti hanno vinto è Verona con Flavio Tosi che per assicurarsi la riconferma ha cercato ed ottenuto l’appoggio di liste civiche nelle quali si sono presentati esponenti “dissidenti” del Pdl e della vecchia maggioranza.
Il Pd canta vittoria perché il centrosinistra vince nettamente sugli avversari, in termini percentuali tiene ed è il primo partito italiano ma se si analizzano i singoli casi si può notare come si tratti di una “vittoria mutilata”. L’unico capoluogo di regione in cui il Pd vince col proprio candidato è a L’Aquila dove Cialente ottiene la riconferma al secondo turno, mentre a Palermo Ferrandelli ottiene meno del 30% e a Catanzaro, anche se di pochissimo, aveva già perso al primo turno.
La sconfitta più cocente è però sicuramente quella di Parma dove il presidente della provincia Bernazzoli, che partiva con un vantaggio di 20 punti percentuali, subisce una sonora sconfitta dal grillino Pizzarotti il quale invecelo batte con 20 punti di distacco. Le altre sconfitte scottanti si sono verificate: al primo turno a Lecce, Gorizia e Verona (dove il proprio candidato si è fermato al 22%) e al ballottaggio a Frosinone contro il centrodestra, a Cuneo contro l’Udc e a Belluno contro una lista civica guidata dall’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale. In totale sono nove i candidati democratici che non hanno bissato la vittoria, mentre vittorie importanti si sono registrate in alcune roccaforti del centrodestra come Cuneo, Monza, Isernia, Brindisi, Lucca, oltre che ad Asti e Alessandria.
Nelle altre sfide il centrosinistra ha vinto ma con candidati estranei al Pd. È successo a Genova, Rieti e Taranto dove i candidati sindaci vittoriosi sono tutti ascrivibili a Sel. A Palermo, infine c’è la vittoria tutta personale di Leoluca Orlando che viene eletto col 72% con l’appoggio dell’Idv e di Sel, due partiti che insieme al primo turno hanno preso il 19%.

di Francesco Curridori tratto da: 
http://www.thefrontpage.it/2012/05/23/chi-vince-chi-perde-chi-crede-di-aver-vinto/

Guida ragionata alle elezioni amministrative

di Francesco Curridori tratto da: http://www.fareitaliamag.it/2012/05/05/guida-ragionata-alle-elezioni/
Il 6 e 7 maggio più di 7 milioni di italiani saranno chiamati alle urne per eleggere il sindaco in oltre 700 comuni di cui 22 capoluoghi di provincia e quattro di regione: Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo.
Ecco le sfide più significative:

VERONA è il test più importante per verificare la tenuta della Lega Nord dopo gli ultimi fatti che hanno travolto Bossi e il suo clan familiare. Il leghista Flavio Tosi, sindaco uscente, stavolta si ricandida appoggiato soltanto dalla Lega e da una serie di liste civiche che, dopo una lotta interna al partito, è riuscito ad aggregare attorno a sé per strappare voti al centrodestra. Se riuscirà a vincere bene già al primo turno la Lega avrà salvato la faccia. Particolarità delle elezioni veronesi sul versante moderato è l’alleanza tra il Pdl e il Terzo polo che puntano alla poltrona più alta della città con Luigi Castelletti. Alla sua destra il candidato di Forza Nuova Luca Castellini. Il centrosinistra invece si presenta unito con Michele Bertucco, appoggiato da Pd, Idv, Sel, Fds e da due liste civiche. Alla sua sinistra la candidata del Partito di alternativa comunista Barry Ibrahima. Tra gli altri candidati troviamo: Gianni Benciolini per il Movimento cinque stelle e Patrizia Badii per il PANTO, il Partito Nasional Veneto.
GENOVA è un test in cui ancora una volta il centrodestra dimostra di non sapere sfruttare le momentanee difficoltà dell’avversario e si lascia sfuggire la possibilità di vincere in una storica roccaforte rossa. La vittoria della sinistra è scontata, sia chiaro. La città della lanterna è una roccaforte rossa da decenni e la vittoria del candidato di centrosinistra Marco Doria (sostenuto da: Pd, Idv, Sel, Fds, Psi, dall’Unione dei Consumatori e da due liste civiche) è scontata fin dal primo turno non fosse altro che per la debolezza degli avversari. Partiamo dal principio. Il sindaco uscente Marta Vincenzi ha mal governato, alcuni membri della sua giunta sono stati indagati e ha mal gestito l’emergenza alluvione. Il Pd se n’è accorto e anziché dare per automatica la ricandidatura della Vincenzi ha provveduto a fare le primarie, ma gli è andata male e infatti entrambe le candidate del Pd (la Vincenzi stessa e la senatrice Roberta Pinotti) hanno perso contro l’indipendente Doria che era sostenuto da Sel.
In una situazione del genere il centrodestra avrebbe potuto avere vita facile se avesse presentato per tempo un solo candidato, appoggiato da tutte le forze moderate e invece il Pdl candida Pierluigi Vinai (sostenuto anche dalla Dc e da Città nuove Vinai sindaco, lista che si rifà al movimento della Polverini e da una lista civica), il terzo polo punta su Enrico Musso e la Lega Nord su Edoardo Rixi. Elisabetta De Martini, invece, corre per La Destra. Sarà interessante capire chi otterrà più voti tra il candidato del Pdl Vinai e il senatore Enrico Musso che cinque anni fa era lo sfidante della Vincenzi. Gli altri candidati sono: Paolo Putti (Movimento 5 stelle), Giuliana Sanguineti, Roberto Delogu, Sii Mohamed Kaabour, Simonetta Saveri, Orlando Portento, Giusppe Viscardi, Armando Siri.
PALERMO è sempre una piazza strana dove le naturali alleanze nazionali vengono sistematicamente snaturate. Il Pd si è incartato con le primarie e alla fine, suo malgrado, ha dovuto candidare il “presunto” vincitore, Fabrizio Ferrandelli che gode del supporto di tre liste civiche tra cui una che fa esplicito riferimento a Sel. L’ex sindaco Leoluca Orlando, che alle primarie ha appoggiato la candidatura di Rita Borsellino, ha trovato nei presunti brogli elettorali il pretesto per candidarsi per la quarta volta alla carica di sindaco del capoluogo siciliano. Stavolta è sostenuto dall’Idv, Rifondazione e Verdi. Il Fli, invece ha prima proposto Massimo Costa come candidato del terzo polo e poi gli ha tolto il suo appoggio quando il Pdl, spaesato dopo la disastrosa amministrazione di Diego Cammarata (che si è dovuto dimettere anztitempo lasciando un enorme buco di bilancio), ha deciso di sostenerlo, insieme a Grande Sud di Miccichè. A quel punto Fli, insieme all’Mpa del governatore Lombardo e all’Api di Rutelli, ha puntato su Alessandro Aricò. La peculiarità del Fli siciliano è infatti di aver deciso di non allearsi in nessun caso col Pdl anzi, metaforicamente parlando, se potesse, gli farebbe una vera e propria guerra a colpi di Granata… Per farsi ancora più male le forze moderate di orientamento di centrodestra vedono altri due candidati in lizza: Giuseppe Mauro per l’Adc e Marianna Caronia per Pid, Udeur e tre liste civiche. Il Movimento cinque stelle punta invece su Riccardo Nuti, mentre il Movimento dei forconi schiera Rosella Accardo. Gli altri candidati sono Marco Priulla (Partito comunista dei lavoratori), Tommaso Dragotto e Gioacchino Basile.
PARMA è un’altra città destinata a passare dal centrodestra al centrosinistra. Lo scandalo delle tangenti che ha colpito l’amministrazione dell’ex sindaco Vignali non potrà che produrre questo risultato. La città dal 1997 ad oggi è stata sempre governata dalle forze moderate di centrodestra prima con Elvio Ubaldi per due mandati e poi dal 2007 con Vignali. Ora Ubaldi, dopo aver aderito all’Api, si ripresenta alle urne col terzo polo. Il Pdl, invece, corre con Paolo Buzzi, la Lega con Andrea Zorandi e La Destra con Primo Bocchi. Ben quattro candidati moderati contro il sindaco in pectore, Vincenzo Bernazzoli, presidente della provincia, sostenuto dal Pd, dall’Idv, dalla Lista civica ed ecologista Parma che cambia con Vendola (Sel), dai Comunisti italiani, dall’Unione democratica consumatori pensionati e da due liste civiche. Alla sua sinistra corrono Roberta Roberti per Rifondazione comunista e Liliana Saggiari per il Partito comunista dei lavoratori. Il Movimento cinque stelle che in Emilia ha già ottenuto buoni risultati, schiera Federico Pizzarotti.
IL CASO GORIZIA
La particolarità di Gorizia è quella di essere l’unico capoluogo dove vige ancora un bipolarismo ferreo.
Il sindaco uscente di centrodestra Ettore Romoli è infatti sostenuto dal Popolo di Gorizia (Pdl), dalla Lega Nord, dalla Destra e dal Terzo polo (Udc e Fli), oltre che dai pensionati per Romoli e da una lista civica. Lo sfidante Giuseppe Cingolani si candida con una coalizione composta da Pd, Idv, Sel, Federazione della Sinistra (Prc+Pdci) e da tre liste civiche, mentre il Movimento cinque stelle presenta Manuela Botteghi. Fabrizio Manganelli, infine, è alla guida di una lista civica.
IL NORD
In Piemonte si vota ad Alessandria, ad Asti e a Cuneo. Nei primi due capoluoghi i sindaci uscenti di centrodestra Piercamillo Fabbio e Giorgio Galvagno si ripresentano ma stavolta senza il supporto dell’Udc e della Lega Nord che corre da sola in tutte e tre le città. Nemmeno il terzo polo però se la passa bene: ad Alessandria Udc e Fli candidano Giovanni Barosini, mentre l’Api schiera Onofrio Vignuolo. A Cuneo (comune con un’amministrazione uscente di centrosinistra) il Fli corre con Mario Castellino e l’Udc con Federico Borgna. Ad Asti l’Udc ripropone nuovamente la candidatura di Davide Arri. Ad Alessandria il centrosinistra, coalizzato secondo i canoni elettorali della foto di Vasto, appoggia Maria Rita Rossa ma si trova come ostacolo la candidatura indipendente dell’ex sindaco Mara Scagni che pochi mesi fa ha lasciato il Pd. Anche ad Asti il fulcro della coalizione di centrosinistra che sostiene Fabrizio Brignolo è composto da Pd, Idv e Sel ma la Federazione della Sinistra corre da sola con Giovanni Pensabene. Solo a Cuneo il candidato di centrosinistra Pierluigi Garelli non ha antagonisti alla sua sinistra ma il centrodestra, come abbiamo visto, è diviso rispetto a cinque anni fa ed è solo il Pdl ad appoggiare Marco Bertone. La Destra ad Asti appoggia il candidato del Pdl, mentre ad Alessandria corre da sola con Claudio Prigione.
In Lombardia si vota a Como e a Monza, entrambe amministrate dal centrodestra. A Como le primarie nel centrodestra hanno causato una spaccatura che ha prodotto, da un lato la candidatura di Laura Bordoli e dall’altro la corsa solitaria dell’ex assessore Sergio Gabbi con una lista dal nome molto evocativo: FORZA – Sergio Gaddi sindaco cambia – COMO. Corsa solitaria anche per Lega Nord e La Destra con Alberto Mascetti e Roberto Colussi. Anche il terzo polo è spaccato: l’Udc corre da sola con David D’Ambrosio, Fli e Movimento Autonomo per Como (Mpa), con due liste civiche, candidano Mario Pastore. Stessa cosa per il centrosinistra che si divide addirittura in tre: Mario Lucini si presenta con la coalizione-tipo composta da Pd, Idv e Sel, Elisabetta Patelli corre per i Verdi e Donato Supino per Sinistra per Como. Tra gli altri candidati da notare la partecipazione dell’ex calciatore Pietro Vierchowod. A Monza la spaccatura del centrodestra si ripete. Mentre cinque anni fa il sindaco uscente Marco Mariani era appoggiato da tutte le forze classiche che dal 1994 al 2006 avevano composto il centrodestra, ora si ricandida col solo supporto della Lega Nord e di una lista civica. Il Pdl e La Destra schierano infatti Andrea Mandelli. Un solo terzo polo, due partiti e due Anna candidate. Così si potrebbe sintetizzare la sorte dell’Udc e del Fli monzese che candidano rispettivamente Anna Martinelli e Anna Mancuso. Amedeo Santoro è invece il candidato sindaco per la Lega Lombardo veneta. La foto di Vasto produce i suoi effetti anche a Monza dove Roberto Scanagatti è il candidato di Pd, Idv, Sel, Fds e di due liste civiche. Alla sua sinistra il “verde” Attilio Tagliabue e per i grillini scende in campo Nicola Emanuela Fuggetta.
In Veneto, oltre che a Verona (di cui si è già scritto), si vota anche a Belluno dove il sindaco uscente Antonio Padre si ricandida col supporto del solo Pdl e di due liste civiche, mentre Lega Nord-Liga veneta, La Destra e l’Udc presentano ognuno un proprio candidato e nell’ordine si tratta di: Leonardo Colle, Francesco La Grua e Ida Bortoluzzi. Claudia Bettiol è la candidata di Pd, Idv e una lista civica. Riuscirà a battere il centrodestra o il candidato del Movimento cinque stelle Andrea Lanari le ruberà i voti necessari?
In Liguria, oltre alla già citata Genova, si vota a La Spezia, dove il sindaco uscente Massimo Federici si ricandida con una coalizione che non solo si rifà alla foto di Vasto (Pd, Idv e Sel) ma allarga i suoi orizzonti fino a comprendere Fds, Udc e due liste civiche. Il centrodestra è spaccato in 5: il Pdl punta su Fiammetta Chiarandini, la Lega Nord su Giancarlo Di Vizia e La Destra su Massimiliano Mammi, mentre Gaetano Russo corre per la Dc e per Città nuove (Polverini). Loriano Isolabella invece si candida con il sostegno di Spezia attiva-MPA e di due liste civiche. Tra i candidati minori troviamo: Iva Mirenda (Movimento cinque stelle), Mauro Di Spigna (No euro), Sandro Sanservero, Roberto Quber, Paolo Pazzaglia, Marco Tarabugi, Giulio Guerri e Fabio Cenerini.
In Emilia, oltre che a Parma, si vota anche a Piacenza dove il Pd si affida a Paolo Dosi, sostenuto anche dall’Idv e da due liste civiche. Anche qui, come a Como, si trova sia la sigla Pdl sia la dicitura Forza Piacenza, sigla usata da coloro che non si rassegnano alla fine dell’alleanza con la Lega Nord e hanno deciso di appoggiare il leghista Massimo Polledri. Il Pdl invece sostiene Andrea Paparo.. L’Udc schiera Pierpaolo Gallini e il Movimento cinque stelle Mirta Quagliaroli.
CENTRO
In Toscana la sfida più interessante è senza dubbio quella della democristiana Lucca, città governata dal centrodestra dal 1998. Il sindaco uscente Mauro Favilla, che si è dovuto dimettere a seguito di uno scandalo, si ripresenta col sostegno del Pdl e di quattro liste civiche. Il più volte sindaco democristiano Pietro Fazzi (78 anni) si ricandida con l’Udc, mentre la Lega sostiene Antonio Trapani. Il centrosinistra presenta Alessandro Tambellini, appoggiato da Pd, Idv, Sel, Fds e da una lista civica.
A Pistoia, invece, il centrosinistra avrà anche stavolta vita facile con la candidatura di Samuele Bertinelli sostenuto da Pd, Sel, Idv, Fds, Verdi e da tre liste civiche. Alla sua sinistra estrema Mario Capecchi corre per il Partito comunista dei lavoratori. Il Pdl schiera Anna Maria Ida Celesti, mentre la Lega Nord presenta Daniela Simonato. Alessio Bartolomei è il candidato del terzo polo. Il Movimento cinque stelle punta invece su Giacomo Del Bino.
Nel Lazio si vota a Rieti e a Frosinone. Interessante notare come le molte crepe del centrodestra reatino, che governa la città dall’inizio della Seconda Repubblica, favoriscano nettamente il candidato di sinistra Simone Pietrangeli. Il Pdl non ripropone il sindaco uscente Antonio Emili (che però si ricandida con La Destra e il Grande Sud di Miccichè) ma si affida ad Antonio Perelli che può godere anche del sostegno di Fiamma Tricolore, Destra sociale, Pri e Città nuove. Il terzo polo è diviso in due tronconi: Silvio Gherardi (Udc, Adc e altri) e Dominco Marieri per l’Mpa, mentre l’Api sostiene Pietrangeli.
A Frosinone invece la spaccatura più evidente è tra la sinistra moderata e la sinistra estrema. Il sindaco uscente del Pd Michele Marini, infatti, è alleato con l’Udc, il terzo polo e i cattolici di Mario Baccini. Alla sua sinistra altri due candidati: Domenico Marzi per l’Idv e Marina Kovari per Rifondazione comunista e Sel. Lo sfidante di centrodestra è Nicola Ottaviani che può contare sul sostegno del Pdl, di Città nuove con te, dell’Udeur e di sei liste civiche. Alla sua destra troviamo Sergio Arduini per Fiamma Frusino – Destra sociale per Frosinone. Il Movimento cinque stelle invece punta su Enrica Segneri.
In Abruzzo si vota solo a L’Aquila dove il sindaco uscente Massimo Cialente si ripresenta alle urne con Pd, Api, Fds, Sel e con due liste civiche. Alla sua sinistra si posiziona il candidato dell’Italia dei Valori e di una lista civica Angelo Mancini. Lo sfidante di centrodestra è Pierluigi Properzi che può contare sul sopporto del Pdl e di una lista civica. Il terzo polo è spaccato: Giorgio De Matteis corre per l’Mpa Abruzzo, l’Udc, l’Udeur e quattro liste civiche, mentre il Fli corre da solo con Enrico Verini. Rosetta Enza Blundo è la candidata del Movimento cinque stelle. Ovviamente qui è data per scontata la rielezione di Cialente.
In Molise si vota solo ad Isernia, dove l’amministrazione uscente è di centrodestra. Qui le spaccature sonio minori rispetto agli altri centri perché ad esclusione del Fli che presenta la candidatura di Raffaele Mauro, il centrodestra schiera Rosa Iorio che guida un’ampia coalizione composta da: Pdl, Udc, Adc, Pensionati, Grande Sud, Udeur e da due liste civiche. Il centrosinistra ha come candidato unico Ugo De Vivo e anche in questo caso si ripete lo schema di Vasto.
SUD
In Puglia si vota a Brindisi, Lecce, Taranto e Trani. Brindisi torna al voto dopo le dimissioni dell’ex sindaco Domenico Mennitti che ha lasciato la politica per motivi di salute. Qui il centrodestra riesce a presentare un solo candidato, appoggiato anche da Fli e Mpa. Trattasi di Mauro D’Attis, mentre l’Udc sostiene il candidato di Pdl, Verdi, Api e Pri. Sel, Idv e Fds, invece candidano Giovanni Brigante.
A Lecce il favorito sembra essere il sindaco uscente Paolo Perrone che si ricandida con Pdl, Io Sud-Grande Sud, Fli e altre cinque liste civiche. L’Udc invece punta su Luigi Melica. Il centrosinistra schiera Loredana Capone che guida un’alleanza composta da Pd, Idv, Psi e da quattro liste civiche. Alla sua sinistra Andrea Valerini si presenta per Alternativa comunista.
Taranto è l’unico dei tre comuni con un sindaco uscente di centrosinistra. Trattasi di Stefano Ippazio, eletto cinque anni fa con Rifondazione comunista e ora iscritto a Sel. A differenza del 2007, ora Ippazio può contare sull’appoggio anche delle forze riformiste (Pd, Idv) ma anche di quelle cattoliche quali Udc, Api e Udeur. I Verdi invece schierano il leader nazionale Angelo Bonelli, mentre la Fds punta su Dante Capriulo. Il Pdl, insieme a una lista civica vicina al Fli, punta su Filippo Condemi che molto probabilmente sarà penalizzato dalla candidatura di Mario Cito sostenuto da La Destra, Fiamma Tricolore e quattro liste civiche. Io Sud corre da sola con Massimiliano Di Cuia. Ultimo frammento della galassia del centrodestra tarantino è Felicia Brittito, la candidata del Movimento politico Schittulli che fa riferimento all’attuale presidente di centrodestra della provincia di Bari.
Trani, governata dal centrodestra dal 2003, vede la presenza di due candidati di sinistra e di un candidato unico per il centrodestra, Luigi Nicola Riserbato. La particolarità di Trani è che 2/3 (Udc e Fli) del polo centrista appoggiano il candidato di centrosinistra Ugo Operamolla, mentre l’Api e l’Fds puntano su Fabrizio Ferrante.
In Calabria si ritorna al voto, dopo due anni, solo a Catanzaro dove il sindaco di centrodestra Michele Traversa si è dovuto dimetter per incompatibilità con la carica di deputato nazionale. Al suo posto il Pdl ricandida l’ex sindaco Sergio Abramo che guida una coalizione che include Adc, Api, Udeur, Pri e Nuovo Psi. L’Udc, il Fli e l’Mpa candidano Giuseppe Celi, mentre il centrosinistra schiera Salvatore Scalzo, appoggiato da: Pd, Idv, Sel, Fds, Psi.
ISOLE
In Sicilia, oltre che a Palermo, si vota anche ad Agrigento e a Trapani. Ad Agrigento il poliedrico Michele Zambuto, dopo essere uscito dall’Udc e dopo essere stato eletto cinque anni fa col centrosinistra, non pago di aver preso la tessera del Pdl, ora ritorna nell’Udc e si ricandida a sindaco della città. Il Fli e l’Mpa di Lombardo si schierano con la candidata del Pd Maria Lo Bello. Il centrodestra schiera invece Salvatore Pennica. A Trapani, città governata dal 1998 dal centrodestra, in quattro si giocano la poltrona di sindaco. Il Pdl schiera Vito Damiano, mentre stavolta il Grande Sud di Miccichè si allea col terzo polo per appoggiare Giuseppe Maurici. Il centrosinistra da un lato schiera Sabrina Rocca, appoggiata da Pd e Sel. L’ Idv e Fds schierano Giuseppe Caradonna, mentre Vincenzo Maurizio Marrone D’Alberti guida i Verdi.
In Sardegna invece si vota per 10 referendum di cui 5 abrogativi e 5 consultivi riguardanti: l’abolizione delle province, l’elezione di un’assemblea costituente per riformare lo statuto, l’elezione diretta del presidente della Regione e la riduzione del numero dei consiglieri regionali.