“Cosa avrei dovuto fare? Menarlo? Morderlo?
Strappargli i capelli finti? Il presidente del Consiglio ti avvicina, in
Parlamento non in un sottoscala, e tu come reagisci? Lo ascolti. Tieni la tua
posizione. E lo inviti a seguire il tuo intervento”. Antonio Di Pietro prova a
difendersi in tutti i modi. Sul suo blog, sul suo profilo Facebook, sul
Corriere della Sera e sul Fatto quotidiano. Tutto inutile, il suo elettorato
non ha capito il senso del colloquio che lui e Silvio Berlusconi hanno avuto
tra i banchi di Montecitorio. E continua a non capirlo.
L'ex
pm di Mani Pulite, che in più occasioni ha paragonato il premier al dittatore
Vileda, ora cambia strategia politica. Perché? Perché, proprio ora che L'Italia
dei Valori è riuscito a battere sia centrodestra sia centrosinistra a Napoli,
la terza città d'Italia, il più acerrimo nemico del berlusconismo si trasforma
in un leader liberaldemocratico disponibile al dialogo? Essenzialmente per due
motivi. Di Pietro ha capito che la vittoria di Napoli e la vittoria dei sì ai
referendum non sono attestabili al centrosinistra e nemmeno al suo partito.
La
candidatura di Luigi De Magistris aveva due obiettivi nascosti. In caso di
sconfitta Di Pietro lo avrebbe indebolito, in caso di vittoria invece si
sarebbe liberato di una figura molto ingombrante che stava minando la sua
leadership dentro l'Italia dei Valori, un po' come avvenne dentro il
centrosinistra quando Sergio Cofferati fu candidato a sindaco di Bologna. Ma
Napoli può rivelarsi un'opportunità o una sconfitta politica se non si risolve
il problema dei rifiuti.
L'alta
partecipazione ai referendum è stata trasversale perché l'acqua e il nucleare,
nel bene o nel male, sono temi che toccano tutti e per i quali sono andati ad
esprimere la loro opinione nel segreto dell'urna anche vari esponenti del
centrodestra come i governatori Zaia e Polverini.
Con
Futuro e Libertà che attenta al suo bacino elettorale, il pm di Montenero di
Bisaccia non ha altre alternative che riposizionarsi. Dal 2008 ad oggi è già
successo tre volte. La prima fu durante la campagna elettorale quando cavalcò
la battaglia dell'antipolitica iniziata con il primo V-Day del comico genovese
Beppe Grillo e dei suoi fan, i grillini. La seconda, immediatamente dopo le
elezioni politiche, quando si rimangiò la parola data al Pd veltroniano di
creare un gruppo unico sia alla Camera che al Senato. La terza fu quando si
schierò accanto alla Fiom in occasione dei referendum Fiat di Mirafiori e
Pomigliano e cercò così di occupare lo spazio lasciato libero (in Parlamento)
dalla sinistra radicale.
Ora
che il partito di Vendola governa non solo la Puglia, ma anche Milano, e che i
sondaggi lo danno sopra l'Idv, intorno al 7%, ecco che Di Pietro si sposta più
al centro del Partito democratico. Il funanbolico leader dell'Idv, ora che
l'antiberlusconismo si sta espandendo a sinistra con Sinistra ecologia e
libertà tanto che a destra con i falchi di Futuro e libertà per l'Italia, per
sopravvivere ha l'obbligo di cambiare strategia e allargare i suoi confini
elettorali sconfinando nei terreni altrui.
Che
Di Pietro punti alla leadership del centrosinistra? Possibile, probabile ma il
terreno su cui si gioca la partita è proprio tra l'ex pm e il governatore della
Puglia. È lui il vero obiettivo del leader dell'Idv che proprio oggi ha
dichiarato di non volere primarie che promuovano “candidati alla Vendola”. A
rendere ancora più esplicita questa teoria sono state le parole dello stesso
Vendola: “Di Pietro sente restringersi lo spazio a sinistra : la crescita di
Sel e il protagonismo del segretario del Pd lo hanno spiazzato e crede che
ricollocandolo a destra nella coalizione di centrosinistra possa metterlo in
grado di intercettare l'eventuale crisi del centrodestra”. Le probabilità che
l'Idv intercetti il voto degli elettori berlusconiani appaiono però assai
esigue. Gli elettori in genere tra la copia e l'originale scelgono sempre
l'originale....
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