martedì 14 febbraio 2012

A quando la nascita di una sinistra italiana davvero riformista?











di Francesco Curridori
  



venerdì 27 novembre 2009

Maggioritario o proporzionale? Presidenzialismo o parlamentarismo? Federalismo si o federalismo no? Su questi tre quesiti si interrogano i politici della Seconda Repubblica per porre fine alla lunga transizione italiana iniziata dopo Tangentopoli. Certamente non si può dimenticare che anche nella fase finale della Prima Repubblica, sull'onda di quelle inchieste giudiziarie gestite dalla banda di toghe rosse guidata da Di Pietro, ci fu la modifica di un articolo della nostra Carta, ovvero l'art. 68 relativo all'immunità parlamentare con gli effetti che tutti conosciamo tanto che oggi si lavora per ripristinarlo.
Durante la Seconda Repubblica le riforme relative all'assetto politico-istituzionale dell'Italia sono state fatte o tramite referendum o a colpi di maggioranza. Nei primi anni '90 infatti furono i referendum voluti da Mariotto Segni a decretare l'addio al proporzionale e l'inizio di una nuova era che, insieme all'elezione diretta del sindaco e poi del presidente di Regione, ha determinato la nascita del bipolarismo. In sintesi è lecito ancora parlare di transizione perché l'opera dei referendari non è stata portata a termine con una riforma costituzionale che prevedesse maggiori poteri per il Presidente del Consiglio.
Si sta ancora discutendo su quale sia forma migliore: se il cancellierato tedesco, il premierato inglese, il semipresidenzialismo francese o il presidenzialismo puro all'americana, ma non si è ancora arrivati ad una sintesi comune tra maggioranza e opposizione. Ecco, in questi due termini sta la chiave di lettura perché nell'era del bipolarismo si è visto che chi era al governo ieri oggi sta all'opposizione e viceversa. Questo dovrebbe far riflettere sulla necessità di lavorare insieme per approvare riforme condivise così come auspicato sia da Gianfranco Fini, Presidente della Camera, sia da Fabrizio Cicchino, capogruppo del Pdl alla Camera.
L'unica riforma che è stata capace di attuare la sinistra negli ultimi quindi anni è stata quella del titolo V della Costituzione con un colpo di mano e a pochi giorno dallo scadere della legislatura 1996-2001, sotto il diktat dell'allora sindaco di Roma Francesco Rutelli, futuro candidato premier. Quella riforma, voluta appunto a colpi di maggioranza, ha introdotto un finto federalismo e ha prodotto dei continui conflitti di attribuzioni di poteri tra regioni e Stato centrale. Oggi come allora la sinistra, diventata pseudo «democratica», ma guidata da un segretario occulto molto poco postcomunista (Massimo D'Alema), è ancora legata ai diktat dei dipietristi per quanto riguarda la riforma della giustizia e ai «puristi» della Costituzione (come l'ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro) per colpa dei quali nel 2004 non passò il referendum confermativo della riforma varata dal centrodestra. All'interno del Partito Democratico c'è però da parte di molti l'intenzione di accettare l'invito della maggioranza a ripartire dalla famigerata «bozza Violante» che fu presentata nella scorsa legislatura e anche l'ex ministro ai Rapporti col Parlamento Vannino Chiti, in questi giorni, all'agenzia stampa Il Velino, si è detto favorevole a seguire questa strada.
È anche vero che le regionali si avvicinano e che il centrosinistra si trova nella difficoltà di dover ricreare una «santa alleanza antiberlusconiana» che comprenda sia l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro sia l'Unione di Centro di Pierferdinando Casini che sulla giustizia e sulle riforme hanno visioni completamente opposte. Se da un lato il leader centrista è disposto ad approvare il lodo Alfano per via costituzionale, dall'altro non voterebbe mai una riforma federalista, come ha fatto invece l'ala dipietrista. Anche laddove le convergenze tra maggioranza e opposizione sono maggiori, come nel caso della riduzione del numero dei parlamentari, tutto è bloccato per motivi propagandistici e di convenienza politica. La domanda da porsi allora è: a quando la nascita in Italia di una sinistra davvero riformista?

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