domenica 12 febbraio 2012

Ridefinire i codici militari per le missioni di pace è una priorità



di Francesco Curridori
  



martedì 11 agosto 2009

L'Afghanistan, che tra dieci giorni tornerà alle urne dopo cinque anni dalle elezioni presidenziali, resta ancora uno dei luoghi più incandescenti dal punto di vista geopolitico, nonostante l'impegno dell'Occidente abbia consentito già da tempo la stesura di una nuova costituzione e lo svolgimento di libere elezioni. Il problema di come rispondere agli attacchi della guerriglia talebana è tornato di grande attualità all'interno della comunità internazionale, ma recentemente anche dentro il governo italiano dopo l'uccisione di un maresciallo italiano a Kabul.
Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha proposto un intervento congiunto tra maggioranza e opposizione per ridefinire le norme relative ai codici militari. Il ministro della Difesa ha spiegato che attualmente, per volontà del secondo governo Prodi, l'esercito in missione di pace si deve attenere alle norme previste dal codice militare di pace e non a quelle previste dal codice militare di guerra. Dal momento che i militari italiani dispiegati in Afghanistan sono in missione di pace, ma subiscono attacchi militari dai talebani ancora in guerra, la logica imporrebbe ciò che auspica anche il ministro, ossia la stesura di un codice militare per le missioni internazionali con l'accordo bipartisan tra maggioranza e opposizione. Un nuovo codice che permetta di difendere meglio i nostri ragazzi in missione di pace. È vero che i Tornado ora, dopo la comunicazione del ministro alle Camere, possono sparare, ma non è sufficiente e per questo motivo si è deciso di raddoppiare il numero dei Predator, gli aerei senza pilota.
Misure necessarie per combattere una minaccia, quella terroristica, che può sempre riguardare non solo l'Afghanistan ma anche l'Occidente. La presenza delle forze del contingente Nato è fondamentale per impedire la presa del potere a fanatici senza scrupoli che non rispettano i diritti umani e che usano la religione per nascondere le loro nefandezze. Non si tratta di esportare la democrazia, ma di impedire un nuovo Olocausto. Ormai anche la sinistra italiana, affascinata dalla politica estera del nuovo presidente americano Barack Obama, non considera più la guerra afgana come una guerra dettata dall'egoismo imperialista degli Stati Uniti. Già da tempo per la sinistra l'uso della forza per missioni di pace o missioni umanitarie non è più un tabù, tanto è vero che le missioni in Kossovo nel '99 e in Libano nel 2006 sono state decise da governi di centrosinistra. Ecco perché ora la proposta del ministro Ignazio La Russa di rivedere i codici militari non sconvolge, non crea polemiche, ma trova persino il consenso di Roberta Pinotti, responsabile Difesa del Partito Democratico ed ex presidente della commissione Difesa della Camera, secondo cui quei codici sono ormai superati, nonostante le modifiche, e risalenti al 1941.
Per apportare eventuali modifiche, inoltre, non vi sarebbe neanche bisogno di cambiare la Costituzione in quanto, se è vero che la prima frase dell'articolo 11 recita: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», è pur vero che nella seconda parte si specifica anche che: «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Qualora venissero modificati i codici militari l'esercito italiano, essendo in Afghanistan sotto l'egida dell'Onu, dunque agli ordini di un'organizzazione internazionale che ha lo scopo di assicurare la pace, non verrebbe meno alle indicazioni prescritte nell'articolo 11, ma anzi le attuerebbe.

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